Cara mamma, verrà il giorno in cui smetterò di fare la figlia e mi comporterò da donna, semplicemente. Dalla persona adulta che sono, lontana da te. Coi primi acciacchi dell’età e i gesti che via via ti somigliano, anche se non vorrei. Il tempo accorcia le distanze, abbatte i paletti di anagrafe e ruolo, avvicina. Eppure, anche se ho più motivi io per preoccuparmi di te, ora che sei anziana e fragile, ancora non rinunci a fare la madre. A chiedermi le cose che mi chiedi da sempre – ti sei pettinata? – anche se già conosci la risposta, chiamarmi per sapere come sto, andare in ansia se non ti rispondo, assicurarti che abbia mangiato.

Madre e figlia: un rapporto di abbracci e strappi

Neppure io, del resto, riesco a dismettere del tutto i panni dell’adolescente insofferente e irrequieta che sono stata. Troppo impaziente e affamata di vita per la tua indole stanziale e timorosa, inadatta all’ignoto, al rischio che sempre comporta il tuffarsi nel vuoto senza paracadute. La mia specialità. Per questo non vedevo l’ora di andarmene di casa. Per liberarmi dal tuo abbraccio premuroso e soffocante. Che è stato nido, cuccia, rifugio finché ero piccola e poi è diventato come la cicca che si attacca sulla suola delle scarpe e fai di tutto per liberartene. Senza quell’abbraccio non sarei cresciuta così serena. Senza quello strappo non sarei diventata la persona che sono.

Essere madre senza dimenticare se stesse

Arriverà il giorno in cui ti vedrò come la ragazza in shorts e ballerine di quella foto in bianco e nero in cui sorridi accovacciata sul divano, con un’aria da gatta. La fidanzata con il taglio alla maschietta che si abbandona all’abbraccio del suo innamorato nella cabina delle fototessere, mentre il papà si diverte a fare smorfie con un cappello a falde strette. Sembrate due attori della Nouvelle Vague. Mi pare impossibile che siate stati giovani anche voi. Che tu esistessi senza di me. Ai nostri occhi, di me e mio fratello, sei sempre stata “la mamma”. Mamma all’ennesima. Pronta a rinunciare a qualsiasi cosa, persino a te stessa, al tuo lavoro di maestra, alla tua giovinezza, pur di imbarcarti in quel mestiere che ti ha occupato tutta la vita e ancora non vuoi o non sai appendere al chiodo.

Rapporto madre-figlia e l’ingratitudine necessaria

Per questo io ho voluto essere altro. Fare di tutto per non somigliarti. Non rinunciare a me stessa mai, neppure all’arrivo delle bambine. Sentivo che dentro la tua docile resa a una vita guidata dai maschi, benché adorabili, ci fosse un senso di privazione che un po’ ti addolorava. Perché toglieva spazio a te, quella ragazza in shorts che è sempre stata qualcosa per gli altri – figlia, moglie, madre – mai solo per se stessa. Mi sono ribellata al tuo modello, alla tua soffice ingombranza, per trovare un mio modo di essere donna e mamma. Brevettando altri errori. Scavando altre distanze. Riempiendo le assenze di ottime ragioni di principio, per poi scontrarmi con la stessa ostilità che i figli intessono a prescindere, per il dovere di crescere. L’ingratitudine è un atto necessario. L’ho fatto per me e l’ho fatto per te, che non hai mai saputo alzare la voce. Anche se sono certa che volevi. Che ancora gridi, a volte, dentro, mentre ci porgi un sorriso.

Il giorno in cui saremo solo due donne che si guardano

Arriverà il giorno in cui saremo solo due donne che si guardano e si danno la mano, senza più zaini da portare e pesi e spine che incrinano la voce. Mi sentirò leggera e grata. Solidale. Persino fiera di essere l’albero nato su una terra che mi è estranea, ma forse solo all’apparenza. Perché la mia forza è la tua resilienza, la mia esuberanza il frutto di tutto lo spazio bianco che mi hai lasciato intorno. Allora saprò abbracciarti e dirti grazie. Grazie di tutto e buona Festa della mamma.