Chris Hemsworth sa che un giorno potrebbe dover fare i conti con il morbo di Alzheimer, ma convive con questa predisposizione, nonostante i fan lo ritengano già “ammalato”. A neppure 41 anni (li compirà ad agosto) il suo destino sembrerebbe già segnato, ma per lui non è così. Per questo ha deciso di tornare a parlare di questa patologia neurodegenerativa e di come convive con la sua predisposizione genetica. Ma come si fa a scoprirla e soprattutto cosa si può fare per ridurre i rischi?

Chris Hemsworth e la predisposizione all’Alzheimer

Chris Hemsworth ha iniziato a dover fare i conti con il maggior rischio di ammalarsi di morbo di Alzheimer due anni fa, quando si è sottoposto ad alcuni esami genetici. Ne è emerso che, a causa della presenza di due copie del gene Apoe4, l’attore un giorno poter sviluppare la malattia. Lui stesso ne aveva parlato, ma l’effetto è stato negativo perché molti supporter lo ritengono già “spacciato”: «La cosa mi ha davvero fatto incazzare perché, nonostante avessi chiarito che non si trattava di una condanna a morte, si è diffusa la notizia che avessi la demenza e stessi riconsiderando la vita, pensando al pensionamento e così via», ha reagito l’interprete di Thor.

La differenza tra malattia e predisposizione

La questione, infatti, sta nella differenza tra l’avere una predisposizione a una patologia e l’essere ammalati: «Hemsworth, stando a quanto dichiarato, rientra in quella piccola quota (ma non minuscola) di persone che possono avere una qualche forma di cosiddetta “malattia biologica”, ma non la “sindrome clinica”: significa che hanno un maggior rischio di ammalarsi, ma solo il tempo dirà se andranno incontro alla malattia clinica vera e propria, quella che presenta dei sintomi», chiarisce Mauro Colombo, ricercatore in Gerontologia clinica presso la Fondazione Golgi Cenci di Abbiategrasso (MI), segretario e consigliere per la sezione lombarda della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria.

Come si scopre il rischio di ammalarsi

Nel caso di Hemsworth, la scoperta è arrivata in seguito ad alcuni esami, in particolare genetici. «Oggi c’è molta attenzione a cercare di individuare quali sono possono essere i predittori del morbo di Alzheimer, tramite esami clinici e anche con il ricorso all’intelligenza artificiale – spiega Colombo – Ci sono esami genetici, sul sangue e sul liquido cerebrospinale. Questi ultimi sono particolarmente diffusi nel mondo anglosassone. A questo tipo di indagini si possono affiancare anche le risonanze al cervello». La maggior parte dei casi di morbo di Alzheimer è associata alla presenza di una mutazione del gene Apolipoproteina E (ApoE), che influenza alcune attività del cervello come apprendimento e memoria.

Il rischio di Alzheimer nella vita quotidiana

La probabilità di andare incontro alla malattia, però, non significa che questa si svilupperà necessariamente.  «Rappresenta, piuttosto, un fattore, che si associa ad altri di tipo ambientale, legati quindi allo stile di vita. In ogni caso va usata molta cautela, altrimenti si rischia di far vivere una persona come se fosse già ammalato clinicamente», sottolinea Colombo. «Al momento il limite degli esami per scoprire una eventuale predisposizione all’Alzheimer è dato dal fatto che è molto difficile associarne il risultato al reale rischio di ammalarsi, sui singoli. C’è ancora molto da fare: per essere chiari, se una persona ha la glicemia a 300 è molto verosimile che abbia il diabete. Questo automatismo, invece, non esiste con la predisposizione all’Alzheimer», spiega il gerontologo della Fondazione Golgi Cenci.

Cosa si può fare per “prevenire”

Esistono, poi, una serie di fattori ambientali che possono giocare un ruolo di primo piano. Sono esattamente 12: ipertensione, obesità, problemi di udito, fumo, depressione, scarsa attività fisica, diabete, poca socializzazione, basso livello di istruzione, consumo eccessivo di alcol, traumi cerebrali e inquinamento atmosferico. «Sono fattori di rischio noti ma, se ribaltati, possono diventare fattori di protezione. Ad esempio, chi ha problemi di udito se inizia a portare una protesi acustica può proteggersi dal rischio di Alzheimer – sottolinea Colombo – Anche il National Institute of Aging sul proprio sito fornisce alcuni suggerimenti. Certo, non sono la panacea, ma certi comportamenti possono fungere da freno all’insorgenza della patologia, compresi la giusta quantità di sonno e il rispetto dei ritmi sonno-veglia, la cui importanza è stata dimostrata da diversi studi».