Allarme lavoro al Sud: un dipendente su quattro guadagna meno di 9 euro all’ora

Essere un lavoratore al Sud si rivela spesso assai difficoltoso per via di paghe eccessivamente basse

Per la maggior parte degli italiani gli stipendi nel nostro Paese sono troppo bassi, in particolare alla luce dei numerosi rincari registrati negli ultimi mesi. Il problema dilaga soprattutto al Sud, dove è allarme lavoro: ecco perché.

Troppo lavoro povero: è allarme al Sud

Dal rapporto stilato dalla Svimez, l’associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno, emergono ancora numerosi squilibri tra Nord e Sud Italia, anche quando si parla di lavoro.

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Essere un giovane lavoratore non è semplice e nelle Regioni meridionali il problema si fa sentire maggiormente. Non solo per l’età. Ebbene sì, perché proprio al Sud si registra una maggiore concentrazione di lavoro povero, con un occupato su quattro che incassa meno di 9 euro l’ora e una conseguente frenata nei consumi. Dopo la crescita del Mezzogiorno tra il 2021 e il 2022, per l’anno in corso la Svimez stima una crescita del Pil italiano pari all’1,1%, con una crescita nel Mezzogiorno di soli tre decimi di punto percentuale in meno rispetto al Centro-Nord (+1,2% contro il +0,9% delle Regioni meridionali). Nei due anni di pandemia il Sud ha accompagnato la crescita del Paese, ma solo in alcuni settori come il turismo e le costruzioni. Non può dirsi lo stesso per industria, ricerca e sviluppo.

L’occupazione al Sud è tornata a crescere, raggiungendo nuovamente i livelli pre-pandemia, ma si tratta di un lavoro più povero e sottopagato. L’Istat conta in tutta Italia circa 3 milioni di lavoratori pagati meno di 9 euro l’ora, corrispondente al 17,2% del totale dei lavoratori dipendenti (esclusa la Pubblica Amministrazione). Di questi, circa 1 milione vive nel Mezzogiorno (superando il 25% degli occupati dipendenti). E non è tutto: nelle Regioni meridionali sono più numerosi i contratti a termine rispetto a quelli firmati nel resto del Paese.

Il futuro dei laureati

Tra Nord e Sud restano così forti divari. Mancano in particolare gli investimenti nelle filiere produttive strategiche. Colmare una carenza simile, al contrario, contribuirebbe a frenare la fuga dei cervelli, che negli ultimi anni si rivela sempre più frequente.

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Stipendi da fame e minori possibilità di carriera spingono molti laureati a lasciare le proprie Regioni e trasferirsi al Nord. Non a caso in vent’anni, tra il 2001 e il 2021, circa 460.000 laureati si sono trasferiti al Centro-Nord. Nello stesso periodo, la quota di emigrati meridionali con elevate competenze (cioè con una laurea o un titolo di studio superiore) è più che triplicata, passando da 9 a oltre il 34%.

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