È difficile immaginare, quando ti nasce un bambino, come sarà da grande. Ma se questo bambino porta con sé una disabilità, è ancora più difficile. La vita adulta significa indipendenza, autosufficienza, vuol dire stare senza i genitori: come possono una mamma, un papà, crescere un bambino che avrà sempre bisogno di loro? In fondo, noi genitori abbiamo tutti un unico compito: emancipare i nostri figli, farli volare via dal nido con le loro ali.

Il progetto Dopodinoi per 12 giovani autistici

Cosa pensano dunque i genitori di ragazzi con disabilità? Che sguardo hanno sul loro futuro? Abbiamo incontrato due mamme, Francesca e Fabiana, in occasione del lancio del progetto Dopodinoi: un progetto pionieristico dedicato a 12 giovani (tra cui i figli di Francesca e Fabiana) con autismo di medio-alto funzionamento assistiti dalla Fondazione ANGSA Umbria ETS (Associazione Nazionale di PerSone con Autismo). Il progetto rappresenta uno dei primi esempi in Italia di cohousing supportato da tecnologie assistive (a cui lavora il Politecnico di Torino), destinato a persone autistiche: prevede la ristrutturazione e adattamento di una struttura a Bastia Umbra (Pg) grazie al sostegno esclusivo della Fondazione Santa Rita da Cascia Ente Filantropico ETS.

Il futuro delle persone con disabilità

Se vivere da soli, un domani, è il sogno di tutti i ragazzi, per le persone con disabilità e le loro famiglie rappresenta il nodo centrale. I figli di Francesca e Fabiana ci pensano, hanno bene in mente il loro futuro da adulti. Uno vorrebbe lavorare in un bar, l’altro andare all’università. Il loro diritto alla vita indipendente, però, non è scontato: ci è voluta la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità a stabilirlo. Anche di questo ogni società civile dovrebbe farsi carico. Invece, nonostante l’Italia nel 2016 si sia dotata di una legge (chiamata appunto del Dopo di noi), molto spesso questo diritto resta sulla carta. E così, dopo i 18 anni, i giovani adulti, come avviene in tutti i casi di disabilità, spesso “scompaiono” dai radar istituzionali, con pesanti ricadute sui familiari, spesso anziani e già provati da anni di cura. In assenza di alternative, molti finiscono in strutture inadatte come RSA o istituti psichiatrici, dove rischiano di perdere salute, abilità acquisite e autonomia.

Emanuele vuole lavorare in un bar

Emanuele, 18 anni.

Lo sanno molto bene i genitori di questi e di tanti altri ragazzi. Come Francesca, che ci racconta di Emanuele, oggi 18enne: «La mia preoccupazione più grande riguarda il suo futuro: mi preoccupa vederlo sempre in casa, senza amici. Penso spesso a come sarà quando non ci saremo più noi, quando saremo anziani e avremo noi stessi bisogno di aiuto».

I genitori caregiver invecchiano

Già. I genitori invecchiano. Secondo i dati del CNEL, un quinto dei caregiver ha oltre 65 anni e la maggior parte (58%) sono donne tra i 45 e i 64 anni. Il 37% risulta fuori dal mercato del lavoro, che significa impoverimento, economico ma anche di relazioni e stimoli. Una fotografia che potremmo pensare di applicare anche alla popolazione con autismo: 600 mila persone e 600mila famiglie. Francesca però è riuscita, per esempio, a mantenere il suo lavoro: è impiegata nel settore amministrativo di un’impresa edile. Il lavoro le piace e ha cercato in tutti i modi di preservarlo, con le ambivalenze e le contraddizioni che noi genitori conosciamo bene. «Qualche volta sottrarre del tempo a Emanuele mi fa sentire in colpa, ma penso che provare questo sentimento sia normale. Sarebbe strano il contrario», ammette. «Ho sperimentato anche periodi a casa, ma alla fine ho imparato che quel che conta non è la quantità ma la qualità del tempo che trascorro insieme a lui».

L’importanza del lavoro per le mamme dei giovani autistici

Col tempo, Francesca ha capito che sentirsi realizzata incide positivamente anche sul rapporto con Emanuele. «Quando torno a casa sono stanca, ma appagata», chiarisce. «Se sono serena, anche Emanuele è più sereno e più felice, perché ama vedermi sorridere, anzi, me lo chiede. Lavorare e stare insieme agli altri mi ha aiutato tantissimo: hai la possibilità di confrontarti anche nei momenti più bui».

La paura di lasciarli andare

Oggi Emanuele frequenta il quarto anno dell’Istituto alberghiero per poter, un giorno, lavorare in un bar. Nell’ultimo anno ha raggiunto nuovi obiettivi, forse anche perché si sta lasciando alle spalle il periodo difficile dell’adolescenza, accentuato dall’isolamento durante il Covid. Un supporto fondamentale nel suo percorso di crescita è stato il Centro Up di ANGSA Umbria, che la Fondazione Santa Rita da Cascia sta sostenendo con un contributo triennale. L’anno prossimo anche lui, come gli altri 11 ragazzi, si trasferirà nel villino in ristrutturazione. «Il fatto che Emanuele esca di casa mi preoccupa, ma devo lasciare che vada via dal nido», confessa Francesca. «Trattenerlo sarebbe un atto di egoismo: significherebbe pensare al mio bene anziché al suo». Oggi Emanuele parla, scrive e riesce a esternare i suoi sentimenti. Non si chiude più in se stesso e riesce a raccontare ciò che sente. Le difficoltà principali riguardano l’autonomia e le relazioni: «Non ha amici e non esce alla sera come suo fratello e gli altri ragazzi della sua età», spiega Francesca. «Non prende ancora un pullman da solo per andare a scuola. Per fare la spesa ha bisogno di qualcuno che lo accompagni, perché non è in grado di amministrare i soldi da solo».

La casa del futuro per i giovani autistici

Eppure, anche per lui c’è un progetto di indipendenza ed esiste la possibilità di emanciparsi, grazie a operatori specializzati, educatori e alla tecnologia, sempre più inclusiva, come spiega Daniela Bosia, responsabile scientifico del Turin Accessibility Lab, centro di didattica e ricerca che si occupa di accessibilità e di progettazione inclusiva e che coordina la riorganizzazione della casa in funzione degli ospiti che la abiteranno. «Si tratta di un’abitazione destinata ad adulti che vivranno con il supporto di educatori, i cui pareri sono fondamentali nella progettazione, ancora in corso. Non abbiamo ancora avanzato delle proposte concrete, ad ogni modo stiamo lavorando a soluzioni che integrino domotica, finiture, arredi, soluzioni di illuminazione e insonorizzazione, colori appropriati e dettagli che facciano sentire a casa».

Come saranno gli spazi

La casa prevede spazi comuni come cucina e sala da pranzo, oltre ad aree esterne per eventuali laboratori. I sistemi domotici potranno regolare luci, tapparelle e sistemi di sicurezza, mentre una particolare attenzione sarà data agli allestimenti. «Spesso le persone autistiche accumulano stress», spiega Bosia, «per questo, nelle strutture più grandi, si adattano delle stanze a essere “zone calme”, per aiutarle a “decomprimersi”. In questo caso, non avendo spazi dedicati sufficienti, potremmo adattare le camere con sedute avvolgenti e configurazioni dei letti che formino nicchie protettive. Inoltre, esistono anche degli arredi che permettono l’interazione con colori, musiche e proiezioni di immagini rilassanti, tutti elementi pensati per creare un’atmosfera accogliente e funzionale alle specifiche esigenze degli abitanti».

I giovani autistici saranno coinvolti nella progettazione

In Italia esistono finora pochissime strutture simili, promosse sempre da associazioni. «Quello di Bastia Umbra potrebbe diventare un modello replicabile, magari lavorando in collaborazione con altre organizzazioni che hanno già affrontato il tema. Se si lavora insieme, si può ottenere un risultato migliore» prosegue la dottoressa Bosia. Infatti, la progettazione includerà anche i giovani. «Cercheremo di parlare con le persone che andranno a vivere lì e con le loro famiglie, per capire meglio esigenze e preferenze. Sono giovani adulti, è giusto che possano dire la loro».

Il sogno dell’università per Emanuele

fabiana ed emanuele giovani autistici dopo di noi
Fabiana ed Emanuele, 19 anni.

C’è da scommettere che Emanuele, il figlio di Fabiana, oggi 19enne, la sua opinione la dica: «Ha cominciato di colpo a parlare a sei anni, passando da zero a 3mila parole» racconta la mamma. «Fino all’età di tre anni, non parlava. Poi a nove anni gli è stato diagnosticata la sindrome di Asperger. Già da quando era più piccolo Emanuele pensava che avrebbe fatto l’università, trovato un lavoro e andato a vivere da solo. Per questo ha accolto favorevolmente l’idea di prendere parte al progetto “Dopodinoi”. «Va al cinema, a fare la spesa e al McDonald’s che frequenta due volte a settimana. Soprattutto è molto consapevole. Abbiamo sempre cercato di non tenerlo chiuso in casa e lo abbiamo sempre mandato ai campi scuola. Da piccolo andava in piscina e per un certo periodo ha frequentato un laboratorio di teatro. Ha fatto tutte le esperienze che poteva fare».

Il distacco è uno step cruciale per tutti i genitori

La sindrome di Asperger, infatti, consente un alto grado di autonomia. Per Fabiana e suo marito, da cui ora è separata, forse è stato in qualche modo più naturale pensare al loro figlio come un adulto, un domani, in grado di vivere senza di loro. «Il progetto Dopo di noi è un’opportunità unica», commenta. «Il futuro rappresenta la preoccupazione di ogni genitore, penso che sarà un’esperienza molto positiva per Emanuele. È importante che lui faccia la sua vita e le sue esperienze. A breve inizieremo un percorso psicologico rivolto sia ai ragazzi che a noi genitori, per affrontare il distacco. Siamo stati fortunati perché la struttura è a soli cinque minuti di macchina da casa nostra».

Emanuele ed Emanuele con Marco sul terrazzo del villino da ristrutturare
Emanuele ed Emanuele con Marco sul terrazzo del villino da ristrutturare

La campagna di raccolta fondi del progetto Dopodinoi

La casa per i 12 giovani con autismo sarà realizzata entro l’anno prossimo grazie al sostegno della Fondazione Santa Rita da Cascia Ente Filantropico ETS, che sta raccogliendo fondi, come spiega Monica Guarriello, direttrice generale: «Siamo partiti dall’attenzione verso la fragilità che storicamente si è incarnata nel Progetto Alveare per l’accoglienza dei minori, fondato da Beata Madre Maria Teresa Fasce più di 80 anni fa. Progressivamente, dalla fragilità derivante dalle condizioni socio-economiche (accesso all’istruzione, cibo, cure) legata alla privazione di beni e servizi materiali, abbiamo ampliato lo sguardo alla fragilità legata alla disabilità intellettiva. La nostra visione è di “rompere le barriere” innanzitutto culturali, offrendo a tutti la possibilità di vivere senza che la propria fragilità rappresenti un impedimento al godimento della vita stessa. Il tema per noi è contribuire nel creare le condizioni per tutti di vivere una vita, non semplicemente dignitosa, ma felice»

Come contribuire al progetto Dopodinoi

A sostegno in particolare del progetto Dopodinoi, sabato 17 e domenica 18 maggio, nel weekend precedente la Festa di Santa Rita, tornano nelle piazze di tutte le regioni d’Italia anche le Rose di Santa Rita, evento di sensibilizzazione e raccolta fondi che la Fondazione promuove dal 2017. Saranno oltre 350 i punti di distribuzione, dove saranno attivi i tantissimi volontari, cuore dell’organizzazione ritiana. La donazione minima richiesta è di 15 euro. Per avere maggiori informazioni sui punti di distribuzione e cercare il volontario più vicino, si può consultare la mappa al link rosedisantarita.org. Allo stesso link, per chi non potrà andare in piazza, è già disponibile la piantina, con una donazione minima di 25 euro.

Si può contribuire al progetto anche con una donazione minima di 16 euro, con cui si riceverà a casa l’anello della Festa di Santa Rita, inciso con la sua rosa simbolo. Per maggiori informazioni: festadisantarita.org.