Rosa e Olindo

Rosa e Olindo sono innocenti?

È quello che in tanti si sono chiesti dal giorno della strage di Erba, nel 2006. Nonostante Rosa e Olindo, rei confessi, stiano scontando l’ergastolo. Ora, dopo oltre 17 anni, il 1° marzo il processo potrebbe essere riaperto in virtù di nuove prove. E la condanna annullata

Il 1° marzo Rosa Bazzi e Olindo Romano tornano in tribunale. Probabilmente per un’ultima, decisiva, volta. Davanti ai giudici della Corte d’appello di Brescia si terrà l’udienza di revisione del processo per la strage di Erba, in cui persero la vita l’11 dicembre 2006 un bambino di 2 anni, Youssef Marzouk, la madre Raffaella Castagna, la nonna Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini. Il marito di quest’ultima, Mario Frigerio, che si salvò solo per una malformazione della carotide, indicò i coniugi Romano come colpevoli.

I tre punti che portarono alla condanna di Rosa e Olindo

Tredici anni fa, dopo un difficile processo, la coppia, che abitava nel medesimo complesso di palazzine, fu condannata all’ergastolo. Da allora, però, si sono moltiplicati i dubbi. «Per quanto possa sembrare difficile da credere, c’è una quantità sterminata di elementi che avrebbero dovuto essere valutati durante il primo grado e che forse saranno esaminati solo ora per la prima volta» riflette Antonino Monteleone, conduttore di Le Iene, che ha dedicato a questo caso gli ultimi anni del suo lavoro, scrivendo con Francesco Priano Erba (Piemme). Fra questi elementi spiccano i 3 punti cruciali che portarono alla condanna: la testimonianza di Mario Frigerio, venuto a mancare nel 2014; una macchia di sangue di Valeria Cherubini ritrovata sull’auto di Olindo; soprattutto, le confessioni dei coniugi, rilasciate subito dopo l’arresto nel gennaio 2007 e poi ritrattate. Proprio queste sono state al centro di un acceso dibattito: per alcuni contengono dettagli che solo gli autori del crimine avrebbero potuto conoscere, per altri sono state rilasciate – come dichiarato dagli stessi Rosa e Olindo – sotto pressione, e con la speranza tanto di ricevere benefici quanto di evitare la separazione l’uno dall’altra.

La richiesta di revisione della condanna di Rosa e Olindo

Oggi questi 3 pilastri dell’accusa si ritrovano al centro della richiesta di revisione portata avanti dal sosti- tuto procuratore generale di Milano, Cuno Tarfusser, cui si sono aggiunte le difese dei due condannati. Secondo quanto appuntato da Tarfusser nel suo fascicolo, «Mario Frigerio fu indotto dalle domande dell’allora luogotenente dei carabinieri Gallorini a costruire il falso ricordo di Olindo. In un primo momento, dal letto di ospedale, aveva indicato nel suo assalitore una persona sconosciuta, di carnagione olivastra». Una tesi sostenuta per la prima volta proprio da Monteleone, che sottolinea un altro punto: «Rosa e Olindo confessarono sotto pressione e furono vittime di una vera e propria circonvenzione. Sono due persone che vivevano un’esistenza modesta e avevano un legame simbiotico, su cui è stata fatta leva per ottenere una confessione, ancorché strampalata. Avere spezzato quel legame, prima ancora che il carcere, ha devastato le loro vite forse in modo irrimediabile».

La macchia di sangue

Quanto alla traccia ematica della vicina di casa, trovata sul battitacco dell’utilitaria di Olindo Romano, per l’accusa è una prova dirimente, la difesa continua a indicarla come inattendibile e frutto di contaminazione delle prove. «Negli ultimi 10 anni, la difesa ha messo in fila un ampio compendio di elementi di prova che, come prevede la legge, sono idonei a scardinare la sentenza definitiva» sottolinea Monteleone. Per Fabio Schembri, che con Nico D’Ascola difende Olindo Romano (la difesa di Rosa Bazzi è affidata invece a Luisa Bordeaux e Patrizia Morello), siamo a una svolta epocale: «È una grande soddisfazione aver riaperto i giochi. Ma la vera soddisfazione si avrà se arriverà un proscioglimento, chiesto sulla scorta delle prove nuove».

Nuovi testimoni

La difesa punta su nuovi testimoni, come Abdi Kais, mai sentito all’epoca dei fatti. Abitava nella casa della strage ed era legato ad Azouz Marzouk, il padre di Youssef: ha riferito più volte di una faida con un gruppo rivale e ha sempre sostenuto che la casa «era la base dello spaccio che veniva effettuato nella vicina piazza del mercato e il posto dove erano depositati gli incassi». Altro testimone citato dalla difesa è un ex carabiniere che riferisce di parti mancanti «nel 50% dei momenti topici delle intercettazioni».

Prove inconsistenti?

Da notare come l’operato del sostituto procuratore Tarfusser abbia prodotto non poco scalpore fra i magistrati lombardi, nonché un processo disciplinare con l’accusa di aver mancato ai “doveri di imparzialità e correttezza” per aver depositato la richiesta “in palese violazione del documento organizzativo dell’ufficio” che assegna la procedura al procuratore generale presso la Corte d’appello o al suo vice, l’a vocato generale. Tarfusser ha sempre ribadito come «le prove che hanno portato alla condanna all’ergastolo sono inconsistenti. Non parlo di innocenza, che non è una ca- tegoria giuridica, ma di colpevolezza o non colpevolezza. Mi ritengo un operaio del diritto e cerco di analizzare le carte: le prove alla base delle sentenze, tecnicamente, non giustificano la condanna dei due imputati».

Il ruolo di giornali e tv

Non dimenticando la sentenza della Cassazione che nel 2011 ha reso definitivo l’ergastolo, è importante sottolineare il ruolo centrale svolto da giornali e televisioni. «Il processo mediatico celebratosi prima e durante quello in tribunale ha avuto un impatto a mio avviso determinante» aggiunge Monteleone. «Sono entrate nell’immaginario collettivo tante e tali inesattezze che ciascuna delle irregolarità, processuali e sostanziali, rilevate dalla difesa sono state eclissate». Una presenza, quella di giornali e tv, che ha spaccato in due il nostro Paese. «A oggi rimane l’incredulità per una strage senza precedenti. Per quanto io sia fortemente critico nei confronti della revisione, di certo ci troviamo davanti a uno dei grandi delitti mediatici che hanno diviso l’opinione pubblica, usciti dal canone della cronaca nera per diventare un caso nazionale» commenta Marco Imarisio, autore di Tenebre italiane (Solferino) in cui ricostruisce i più celebri casi che ha seguito come inviato del Corriere della Sera. «Arrivai a Erba la notte del delitto» ricorda. «Quella sera non si capiva bene cosa fosse successo. Si vedevano le fiamme, ma non si aveva contezza dell’accaduto. Ci vollero giorni per capire l’entità della strage e per le prime ipotesi, che si rivelarono del tutto infondate. A cominciare da quella, diffusa massicciamente, che indicava come autore il marito di Raffaella Castagna, Azouz Marzouk, che all’epoca si trovava in Tunisia dai genitori». Da allora sono trascorsi 17 anni. E forse, speriamo finalmente, siamo prossimi a leggere il capitolo definitivo di questo ingarbugliato, dolorosissimo dramma.

Il libro su Rosa Bazzi

In Rosy, libro a metà fra il romanzo e il reportage, Alessandra Carati esplora l’universo emotivo di Rosa Bazzi

«Avevo saputo che Rosa Bazzi avrebbe rilasciato un’intervista, così ho chiesto di partecipare come uditrice. Era il febbraio 2019, e non sapevo che quella decisione di impulso avrebbe condizionato molto dei miei successivi anni». Alessandra Carati, scrittrice già finalista al Premio Strega con E poi saremo salvi, arriva in libreria con Rosy (Mondadori, come il precedente), libro a metà fra il romanzo e il reportage in cui ricostruisce i numerosi incontri e prova a creare un ritratto della sua personalità.

«Quel giorno Rosa mi si avvicinò e mi chiese di scrivere un libro su di lei. Pensavo che non sarebbe mai successo, invece dall’estate del 2019 al febbraio 2020 l’ho incontrata in carcere quasi tutte le settimane. È stata una conoscenza anche molto faticosa. Mi ci sono voluti mesi per tentare di entrare dentro il suo mondo e decifrare il suo universo emotivo. Con lei non vale nessun tipo di modello relazionale normalmente utilizzato. Rosa scardina tutte le abitudini ed è come se, emotivamente, a un certo punto avesse contattato degli aspetti in me, delle paure, che nemmeno pensavo di possedere. Mi ha messo di fronte a un femminile di cui ho sempre avuto il terrore. Un femminile in balia degli altri, privo di risorse economiche, cognitive e culturali per affrontare la vita. Per affrontare la realtà che lei vive sempre in modo subordinato, attraverso la dipendenza che sviluppa con persone che le sono necessarie per andare avanti. Questo mi ha angosciato e addolorato tantissimo».

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