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L'attrice Claudia Gerini

Violenza sulle donne: tagliati del 70% i fondi per le vittime

Claudia Gerini è protagonista di una campagna di Action Aid: “Tagliati del 70% i fondi per le vittime di violenza”. L’appello di D.i.RE, Donne in rete contro la violenza

«Per liberare le donne dalla violenza puntare al ribasso non conviene». Sono parole che arrivano come un appello forte a non tagliare i fondi per la prevenzione della violenza di genere. Un richiamo che giunge alla vigilia della Giornata contro la violenza sulle donne, il 25 novembre. Voce e volto di questo appello è Claudia Gerini, ambassador di Action Aid, che ha promosso una campagna di sensibilizzazione, partendo da un dato: i fondi per le politiche e i servizi per le donne vittime di violenza hanno subito un taglio del 70% e il rischio è che possano ulteriormente diminuire.

Il taglio dei fondi per contrastare la violenza

Dagli oltre 17 milioni di euro del 2022 ai 5 milioni attuali stanziati per il 2023. È il dato da cui parte Action Aid, che ha lanciato la campagna Black FreeDay, con tanto di manifesti digitali in stile Black Friday, la giornata dei maxi sconti a cui si richiama nel nome. In questo caso, però, i ribassi non portano alcun vantaggio, anzi: ricadono interamente sulle donne: «In 10 anni le risorse economiche stanziate per la “Legge sul femminicidio” per il sistema antiviolenza sono aumentate del 156%, ma il numero delle donne uccise da uomini in ambito familiare-affettivo non è diminuito, restando simile di anno in anno. Questo dimostra come siano state inadeguate le politiche antiviolenza adottate», denuncia Katia Scannavini, vicesegretaria generale di Action Aid Italia.

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Claudia Gerini: più risorse per la prevenzione della violenza

Ad essere penalizzata è soprattutto la prevenzione, a cui è stato destinato solo il 12% degli stanziamenti. «Con la campagna Black FreeDay vogliamo chiedere al Governo e al Parlamento di costruire davvero un futuro libero dalla violenza per bambine e ragazze, perché senza fondi sufficienti e politiche mirate alla prevenzione si continuerà ad intervenire sempre e solo in risposta alle violenze già subite dalle donne», aggiunge Scannavini. «La violenza contro le donne in Italia è quotidiana. Si manifesta in molti modi diversi, e devasta la vita di chi la subisce senza eccezioni. Intervenire in supporto di queste donne è fondamentale, ma arrivare dopo non basta. È necessario contrastare la violenza di genere in tutte le sue forme, prima che si verifichi. Per questo fare sconti sulla prevenzione non è ammissibile», sottolinea Claudia Gerini.

Prevenzione “sottocosto”

Non a caso Action Aid ha condotto uno studio chiamato Prevenzione sottocosto. A preoccupare è soprattutto la quota ridottissima di fondi destinati agli interventi di educazione e sensibilizzazione che, spiega l’associazione, «hanno l’obiettivo di scardinare norme e comportamenti sociali che producono e riproducono la violenza, la cosiddetta prevenzione primaria, e ai quali va solo il 5,6% rispetto al totale dei fondi antiviolenza 2020-2023». Eppure la violenza di genere in Italia colpisce 1 donna su 3. Sono quasi 7 milioni le donne che nel corso della propria vita hanno subito una forma di violenza fisica, più di 2 milioni le vittime di stalking, milioni quelle che soffrono per abusi psicologici o economici, e 104 i femminicidi registrati solo lo scorso anno.

A cosa servono i fondi contro la violenza

«Se vengono meno i fondi non riusciamo a svolgere le nostre attività. Già oggi in alcuni centri ci sono abbiamo difficoltà, in particolare in alcune aree del Paese perché la situazione non è omogenea. Questo significa che diventa difficile poter accogliere e ospitare le donne che escono da storie di violenza, così come i loro figli e figlie», spiega Francesca Maur, consigliera nazionale di Di.RE., Donne in Rete contro la violenza. «Teniamo presente che già adesso molte delle nostre strutture sono portate avanti grazie al lavoro delle volontarie, persone che non sono pagate e con il loro sostegno aiutano le donne e sgravano lo Stato in questa attività. Il flusso dei finanziamenti pubblici, infatti, è a singhiozzo e non sufficiente rispetto alle necessità», aggiunge Maur, che ricorda come la rete conta su 87 associazioni che gestiscono oltre 100 centri in tutta Italia, che hanno accolto finora 21mila donne.

Senza soldi viene meno la prevenzione

Ma c’è anche un altro aspetto fondamentale: «La Convenzione di Istambul sottolinea l’importanza della prevenzione. Per contrastare questo fenomeno allarmante dobbiamo lavorare sui meccanismi culturali che portano alle diseguaglianze e alla violenza di genere. Lo si fa nelle scuole e con una sensibilizzazione sulla collettività per scardinare gli stereotipi e pregiudizi – spiega Maur – La nostra società è come una piramide, alla cui base ci sono valori e tra questi rimangono alcuni stereotipi sui ruoli maschile e femminile. Per esempio, resiste l’idea che un uomo possa essere un buon padre anche se è violento con la madre dei suoi figli, che magari assistono alle violenze stesse».

Investire nella formazione

«Tutti noi viviamo immersi in una società dove gli stereotipi persistono. Solo sapendo come funziona la violenza potremo sradicarla. Questo riguarda anche le forze dell’ordine e i Tribunali, dove spesso le donne sono catapultate, per poter uscire dalla violenza. Le norme in Italia ci sono e potrebbero anche funzionare bene, ma se i magistrati non sono debitamente formati si rischia di ricevere un trattamento non tutelante, che espone le donne e i loro figli a violenze secondarie, anche dopo il processo. Prevenire vuol dire lavorare sulla formazione, sia direttamente sulla collettività, sia con chi è preposto a tutelare le vittime», aggiunge la consigliera nazionale di Di.RE.

Abbattere gli stereotipi

Investire di più, dunque, anche pensando al futuro. Solo cambiando l’approccio culturale, infatti, sarà possibile abbattere gli stereotipi che oggi pesano ancora sulle differenze di genere. Secondo il Gender Social Norm Index delle Nazioni Unite (Undp 2023), che misura proprio le credenze alla base delle disuguaglianze oltre il 25% della popolazione mondiale ritiene giustificabile che un uomo picchi la moglie. In Italia il 61.58% ha pregiudizi contro le donne e il 45% ha convinzioni che possono portare a giustificare la violenza fisica, sessuale e psicologica da parte del partner. «Solo un lavoro culturale che contrasti le consuetudini e i modelli di violenza contro le donne e le ragazze può quindi invertire la rotta», conclude Action Aid.

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