A me è bastato un giorno. Un giorno nel quale, uscendo dalla metro e cercando nella borsa il portafoglio con il biglietto da passare al tornello, mi sono accorta che mi avevano rubato il portafoglio. Un attimo prima ce l’avevo e un attimo dopo, puf, non c’era più. Sorvolando sulla reazione a caldo, rumorosa e scomposta come nei peggiori bar di Caracas, e sulla coda interminabile in questura per la denuncia di rito, il trauma vero è arrivato dopo. Quando cioè, essendo il fattaccio accaduto un venerdì, ho realizzato che sarei dovuta stare tutto il weekend senza soldi, aspettando paziente (paziente???) la riapertura delle banche il lunedì successivo. Ansia, sudori freddi, tremore, panico. Ho sperimentato tutto il campionario dei tipici segni dell’astinenza. Perché restare senza carta né bancomat, per di più nei giorni dedicati alla spesa e allo shopping, non è una cattiveria, è un affronto.

Quando i soldi non sono tuoi: il prezzo nascosto della dipendenza economica

Dunque mi sono bastate 24 ore, dilatate dal riverbero del fine settimana, per capire cosa significa non essere economicamente indipendenti. Volere e non potere. Perché, quando non hai soldi tuoi, puoi fare solo due cose: rinunciare a ciò di cui necessiti e vuoi oppure chiedere. Ed entrambe sono sgradevolissime. La prima comporta sacrificio e frustrazione. La seconda dipendenza e rassegnazione. Eppure i dati ci dicono che ancora in Italia 1 donna su 3 (e il 45% di quelle in coppia) non ha un proprio conto corrente. In molti casi ce l’ha cointestato con il partner o un familiare, in altri non lo possiede affatto. Le ragioni sono facilmente intuibili. C’è chi non ha una propria entrata economica o ce l’ha modesta e saltuaria e chi preferisce che a occuparsi dei soldi sia lui, il maschio di casa, perché è più pratico e “ne capisce”. A volte, entrambe le cose.

Se l’amore finisce, cosa resta alle donne?

Questa configurazione del ménage familiare, tipica della nostra cultura, presuppone grande fiducia nell’altro e santi in Paradiso perché, se malauguratamente la relazione va in crisi, chi non è autonomo si trova col cerino in mano. Non a caso, secondo il sondaggio che abbiamo commissionato a SWG nell’ambito del nostro Osservatorio sui diritti, il 51% delle donne in coppia va in seria difficoltà in caso di separazione. Tra di loro, mogli che hanno rinunciato alla carriera per permettere al marito di far crescere la propria, madri che hanno lasciato l’impiego all’arrivo del primo figlio, giovani che hanno rinunciato a un qualsivoglia impiego per mettere su famiglia, over 50 che hanno mollato il colpo per dedicarsi ai genitori anziani.

La libertà delle donne passa attraverso l’indipendenza economica

Questa situazione, unita ai dati sconfortanti sull’occupazione femminile, soprattutto al Sud, mette tutte le donne – separate, single o felicemente sposate – in una posizione di fragilità. Che in alcuni casi si traduce semplicemente in un prolungato e non sempre sgradito stato di dipendenza, prima dal padre poi dal marito, cui rendicontare capricci e spese necessarie (per molte madri e nonne della nostra generazione è stato così); in altri in una vera e propria sudditanza, tanto più intollerabile se chi ha il potere economico ne approfitta, esercitando varie forme di controllo o addirittura di sopruso. Sono tantissime le vittime di violenza domestica che rinunciano a chiedere aiuto perché, denunciando il proprio carnefice, non sarebbero in grado di mantenersi da sole. Per questo, dopo gli stereotipi e le emozioni, abbiamo deciso di dedicare la terza delle nostre indagini del progetto Libere e Uguali al tema del lavoro e dell’indipendenza economica. Perché senza quelli non si è davvero padrone del proprio destino, non si può scegliere di andare o di restare.

Ruoli ancestrali e zero supporto: così si ostacola l’indipendenza economica delle donne

Purtroppo, la mancata autogestione finanziaria non sempre è frutto di una decisione. Bensì il risultato di un sistema che ancora penalizza le donne, le inchioda a ruoli ancestrali, le ostacola e le giudica quando cercano di farsi valere, non le supporta con politiche volte a distribuire in modo equo i carichi familiari, osteggia gli uomini pronti ad assolvere con impegno e piacere il compito di padri e partner paritari. Insomma, c’è un enorme lavoro da fare. Noi ci stiamo provando. Anche coinvolgendo esperti e istituzioni. Ma il cambio culturale si fa insieme, e ognuno deve metterci del suo. Quindi, per favore, questa sera mettetevi in poltrona e fate fare a lui.