Le opportunità di formazione e lavoro nel Mezzogiorno sono ancora molto scarse rispetto al Settentrione. Ecco perché molte famiglie, e giovani, migrano per cercare opportunità di studi e occupazione nelle regioni più ricche di centri educativi e occasioni di impiego. Ma in questo fenomeno di migrazione dal Sud al Nord Italia per la ricerca di situazioni migliori e più stabili di vita emerge un dato allarmante: sono le donne, “al seguito” dei loro compagni, a pagare il prezzo più alto.
Nord e Sud Italia: lo studio sulle opportunità educative
Questo è solo uno degli aspetti emersi dallo studio “Disuguaglianze geografiche e sociali in Italia: l’impatto dell’area di provenienza su istruzione e occupazione”, pubblicato da Gesi (Geography and Social Inequality in Italy), consorzio di ricerca coordinato dall’Università Statale di Milano.
Il progetto, che mette in rapporto l’area geografica di provenienza con le opportunità educative e occupazionali, ha evidenziato che le zone marginali del Sud situate a oltre venti minuti di distanza dai centri – pur non essendo necessariamente le più povere – spesso restano isolate al punto da determinare scelte di migrazione di tutta la famiglia.
Donne penalizzate nella migrazione da Sud a Nord
A essere penalizzate in questo processo di migrazione sono le donne. La loro, specie se poco istruite, è una “migrazione al seguito”, uno spostamento al Nord non per un progetto individuale ma per seguire il partner. Le ragioni sono diverse: il matrimonio, la maternità e la divisione tradizionale dei ruoli, la minor possibilità di essere inserite in un contesto lavorativo. Insomma, uno stato di dipendenza dal ruolo maschile.
Spiega Nazareno Panichella, coordinatore del progetto interdisciplinare e professore di Sociologia Economica presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’ateneo milanese: «Molto spesso le famiglie decidono di spostarsi più per le opportunità dell’uomo che della donna, che per via dei carichi famigliari e per la disuguaglianza di genere sul mercato del lavoro, si accoda».
Donne da Sud a Nord: una migrazione al seguito
«Per l’uomo è scontato che migrazione significhi trovare nuove opportunità di impiego – prosegue Panichella – per la donna no. Il carico di cura dei figli, spesso la scarsa istruzione o qualifica rispetto al partner e la disuguaglianza di genere nel mercato del lavoro le impediscono una prospettiva di inserimento altrove».
Ma c’è anche un fattore di tipo culturale, soprattutto dove è la necessità maschile a trainare le scelte: una dinamica forte nelle coppie in cui le donne hanno un’istruzione medio bassa. Allora spostarsi con il proprio marito o compagno diventa l’unica scelta possibile a fronte delle opportunità di miglior reddito per tutti.
La penalizzazione della donna impatta sui figli
Spesso le famiglie, una volta al Nord, si rendono conto che non basta un solo reddito a sostenere la situazione. Questo fa sì che anche “le donne al seguito” dopo qualche anno dallo spostamento inizino a cercare lavoro, ma in una situazione svantaggiosa perché il loro è stato un investimento al maschile. «Le ripercussioni di questa penalizzazione della donna, che vive un disagio significativo, possono avere un forte impatto sui figli e sulla loro riuscita scolastica» rivela il professore.
Nelle aree marginali del Sud, meno percorsi educativi
Solo nel caso di un’istruzione elevata di entrambi la donna non è una “migrante al seguito”. L’analisi di Gesi, realizzata su territorio nazionale, si basa su un campione rappresentativo del Mezzogiorno, con studi specifici su aree marginalizzate di Puglia, Calabria e Sicilia dove è più difficile accedere a opportunità di proseguimento degli studi. I risultati del progetto mostrano chiaramente come nelle aree marginali del Sud, i percorsi educativi, gli sbocchi occupazionali e la mobilità sociale siano limitati.
Al Centro-Nord la marginalità geografica non penalizza il lavoro
Al Sud la migrazione coinvolge i più istruiti e ambiziosi. Le donne, come abbiamo visto, spesso subiscono una “migrazione al seguito” senza reali sbocchi occupazionali.
Nel Centro-Nord la marginalità geografica non produce penalizzazioni occupazionali rilevanti. A differenza del Mezzogiorno, dove la marginalità produce minori guadagni e isolamento territoriale tali da generare scelte di migrazione con conseguente spopolamento dei territori. Al Nord le aree marginali sono caratterizzate da un orientamento verso l’istruzione tecnica e professionale con reali sbocchi lavorativi: un tipo di istruzione carente al Sud che induce all’abbandono scolastico.
Il migrante povero e senza istruzione: un’immagine stereotipata.
I meridionali che lasciano il Sud per il Nord sono invece quelli più istruiti e qualificati. Un fenomeno che impoverisce il territorio di appartenenza sottraendo risorse umane, soprattutto nelle aree interne e marginali.
Molti sono anche i giovani che lasciano il Sud per formarsi e lavorare al Nord. La migrazione studentesca dal Mezzogiorno non rappresenta solo uno spostamento temporaneo legato alla formazione, ma si inserisce in progetti di vita che includono l’ingresso nel mercato del lavoro e l’insediamento stabile.
La migrazione accentua disparità preesistenti
La scelta di restare è spesso ambivalente: da un lato c’è il desiderio di costruire un futuro in luoghi familiari, dove le reti sociali sono forti e la qualità della vita è considerata migliore; dall’altro, si soffre il peso dell’isolamento e delle scarse opportunità. Il rischio di restare può diventare, più che una scelta, una condizione subita di adattamento e rinuncia. Una seconda forma di perdita, meno visibile: il ridimensionamento delle aspirazioni in contesti che offrono poche opportunità.
«La migrazione, quindi, non è un fattore di equalizzazione ma accentua le disuguaglianze preesistenti già prima della partenza. I dati mostrano che solo gli uomini provenienti da classi sociali più elevate riescono a migliorare la propria posizione occupazionale dopo la migrazione» conclude Panichella.