Il pronunciamento è arrivato inaspettato, soprattutto dopo le ultime sentenze sul tema della genitorialità nelle coppie omosessuali: per i giudici della Consulta è incostituzionale vietare alla “madre intenzionale”, cioè quella non biologica, di riconoscere come proprio il figlio nato tramite la procreazione medicalmente assistita. È quanto stabilito in seguito al ricorso del Tribunale di Lucca.

Pari diritti alla madre intenzionale

Il pronunciamento arriva dopo il ricorso da parte dei giudici toscani sul caso di una coppia omogenitoriale e riguarda il diritto a vedersi riconosciuto lo status di madre a tutti gli effetti anche per quella definita “intenzionale”, cioè la donna che ha prestato il consenso alla pratica della fecondazione medicalmente assistita (Pma), ma non è la madre biologica. Il caso è particolarmente delicato perché ha a che fare sia con i divieti della legge italiana (che appunto vieta la Pma nel nostro Paese alle coppie omosessuali), sia con i diritti del bambino.

Tutelare gli interessi del bambino

La Corte Costituzionale, che ha depositato la sentenza proprio oggi, ha precisato che la questione non attiene alle condizioni di accesso o meno alla procreazione assistita, che non è consentita in Italia, quanto piuttosto ai diritti del figlio nato tramite questa pratica, autorizzata in molti Paesi all’estero. Il nascituro, quindi, ha diritto a vedersi riconosciuto come “figlio” da parte di entrambe le madri, compresa quella intenzionale (non biologica), mentre il divieto attuale non garantisce “il miglior interesse del minore”, come ricordano i giudici nel pronunciamento.

Il diritto della madre intenzionale non lede altri diritti previsti dalla Costituzione

In pratica la Corte ha sottolineato che al momento venivano violati più articoli della Costituzione. Per esempio, l’articolo 2, perché rappresenta una lesione dell’identità personale “del nato e del suo diritto a vedersi riconosciuto sin dalla nascita uno stato giuridico certo e stabile”. Lo stesso vale per l’articolo 3: secondo la Consulta l’attuale legge è irragionevole e non trova giustificazione in assenza di un “contro interesse di rango costituzionale”. Significa, dunque, che non c’è motivo di vietare il riconoscimento della madre intenzionale perché questo non contravviene rispetto ad altri diritti previsti dalla Costituzione. Infine, si cita l’articolo 30, che riguarda proprio il minore e i diritti connessi alla responsabilità genitoriale, che deve essere valida per entrambi i genitori.

Una svolta rispetto al passato

«Quanto stabilito dalla Consulta rappresenta una vera svolta, perché due donne che finora andavano all’estero e realizzavano un progetto genitoriale tramite la Pma non avevano gli stessi diritti genitoriali. Solo per quella che partoriva, dunque quella biologica, era possibile avere la trascrizione in Italia del certificato di nascita prodotto nel paese estero in cui era avvenuta la procreazione medicalmente assistita, e questo nonostante entrambe figurassero sul documento estero. Quindi la madre intenzionale, una volta tornata in Italia, doveva ricorrere al Tribunale per i minorenni per chiedere il riconoscimento della cosiddetta “adozione in casi particolari”», spiega l’avvocato Gianni Baldini, professore associato di Diritto Privato e docente di Biodiritto, presso le Università di Firenze e Siena.

Cosa cambia adesso

«Oggi, invece, con il pronunciamento della Consulta, si riconosce il diritto della madre intenzionale di poter essere considerata madre a tutti gli effetti del figlio nato all’estero tramite Pma, senza dover procedere con la richiesta di adozione in casi particolari», sottolinea ancora Baldini, già promotore di cause in tema di bigenitorialità e diritti delle coppie omosessuali. Lo stesso avvocato, però, sottolinea come adesso si apra una contraddizione, che ha a che fare con le coppie di due padri: «Lo stesso diritto riconosciuto alla madre intenzionale, non è tale per uno dei due padri di una coppia omogenitoriale di uomini».

Perché il diritto non è valido per due padri?

Il motivo è semplice: «Perché una coppia di due uomini, per diventare genitori, deve ricorrere alla surrogazione di maternità, che in Italia di recente è diventata reato universale. Questa discrepanza, però, apre una discriminazione enorme: se la coppia omogenitoriale è composta da due donne, queste adesso potranno essere riconosciute entrambe come genitori, mentre lo stesso non può accadere a due padri. Quello non biologico, infatti, continuerà a dover far ricorso all’adozione in casi particolari».

La contraddizione rispetto ai diritti dei single

C’è anche un’altra contraddizione, sollevata da Baldini, che riguarda i diritti dei single. «Se da un lato si fa un passo avanti per quanto riguarda i diritti delle madri delle coppie omogenitoriali, le limitazioni per i padri stridono anche rispetto alla recente decisione di aprire l’adottabilità anche ai single. Come se non bastasse, altre sentenze appaiono in contraddizione con quest’ultima posizione, come quella che ritiene proporzionato e legittimo limitare l’accesso alla Pma per le donne single. Insomma, esistono evidenti contraddizioni che andrebbero sanate».

Madre intenzionale: effetto retroattivo

Se da un lato le associazioni LGBTQ+ plaudono al pronunciamento della Consulta, dall’altro si apre una nuova complicazione: «I pronunciamenti della Corte costituzionale hanno valore retroattivo, perché forniscono delle interpretazioni della carta che è attiva dal 1948 – osserva Baldini – È pur vero che comunque questo pronunciamento fa giustizia rispetto a molti casi controversi accaduti finora: basti pensare al fatto che la Procura di Padova di recente aveva impugnato 48 certificati di nascita di coppie omogenitoriali con figli nati all’estero, annullandone la validità».