«Per il 2024 voglio introdurre un nuovo concetto, l’esatto contrario del quiet luxury: il loud budgeting». A dirlo è il creator comico Lukas Battle su TikTok, che ironizza sulla tendenza dei “veri ricchi” a cercare di risparmiare ovunque possibile. «Se conosci persone veramente ricche, sai che è così: risparmiare è chic, è cool. Non si tratta di dire che non si ha abbastanza, ma che non vogliamo spendere soldi per questioni di principio».

La sua proposta ironica però non è del tutto una burla, e lui stesso rinforza il concetto parlando di come prendendo tutti parte a questo trend lo si potrebbe rendere un vero e proprio movimento. E senza rendersene conto, man mano che si moltiplicano like e condivisioni, succede proprio questo: il loud budgeting oggi non è più uno scherzo ma una vera tendenza “controcorrente” e – se praticato correttamente – può essere uno strumento prezioso per la nostra indipendenza economica.

Loud budgeting: di cosa si tratta

Letteralmente traducibile con «budget rumoroso», il loud budgeting è la pratica di parlare apertamente di denaro e risparmi senza vergogna. Un’amica ti invita a cena e sai che vi ritroverete con un conto esorbitante? Fare loud budgeting significa dire, senza vergogna, «Scusami, ma in questo periodo preferirei davvero risparmiare!». Ma anche motivare senza inventare scuse una scelta, per esempio la destinazione di vacanza, spiegando senza peli sulla lingua di averla scelta per il basso costo.

«Il loud budgeting è una novità se interpretato come un rovesciamento rispetto alle dinamiche di consumo che hanno caratterizzato l’ultimo decennio», spiega la sociologa dei consumi Geraldina Roberti. «Ci siamo abituati a vedere i consumi in chiave identitaria, quindi a comprare per appartenere a determinati gruppi, ma questa tendenza va nella direzione opposta».

Dire «Non me lo posso permettere» è sano (e responsabile)

Praticare loud budgeting non è positivo solo perché ci porta a parlare di soldi senza vergogna, ma è un primo passo per prendere sul serio le proprie abitudini di risparmio. In Italia, soprattutto noi donne non riceviamo una vera educazione finanziaria, e questo rischia di precluderci l’indipendenza economica e il raggiungimento dei nostri obiettivi finanziari.

Fissandoci un budget oltre il quale non spendere ed essere inflessibili su come e quanto risparmiare è un modo per prenderci cura non solo dei nostri risparmi ma anche di noi stesse. Nel dire apertamente che non possiamo permetterci qualcosa, infatti, ci diamo dei limiti, chiariamo i nostri bisogni. Avere un budget non è qualcosa di cui vergognarsi, ma anzi la prova che siamo consapevoli delle nostre possibilità: il potere di accrescere quanto possediamo, o ricavarne il massimo, comincia così.

Loud budgeting, fare di necessità virtù

Non è un caso che il trend sia nato proprio oggi: se da una parte l’iperconsumismo è al centro della nostra società (basti pensare al fenomeno dell’ossessione per i Labubu), non si può negare che le crisi economiche degli ultimi anni abbiano avuto un impatto sul potere d’acquisto di molti. Come conseguenza, il rapporto col denaro è cambiato, soprattutto per Millennial e GenZ. Da una parte c’è una maggiore consapevolezza, grazie ai social, riguardo alla sfera economica e alle scelte finanziarie personali. Dall’altra anche una tendenza a risparmiare di meno, visto che il futuro per i giovani resta incerto, e il lavoro è un mondo precario e instabile.

«Le situazioni contingenti cambiano e per molti il consumo va ridotto, quindi non sorprende che i social trasformino questa necessità in un elemento identitario a parte», spiega sempre Roberti. «Oggi si parla di loud budgeting come di un fenomeno generazionale, e questo è molto interessante: fare una dichiarazione pubblica della propria sfida al consumismo è un manifesto. Si dichiara qualcosa che prima era tenuto privato, e si normalizza la vulnerabilità economica».

Non solo loud budgeting, il consumismo è fuori moda

Una sorta di “precursore” del trend è stato il movimento della decrescita diffusosi negli anni Settanta. Sulla base del pensiero di filosofi come Serge Latouche, infatti, sempre più persone hanno cominciato ad approcciarsi al consumismo con un’ottica di risparmio e attenzione all’ecologia. Allora i “seguaci” del movimento erano mossi da ragioni ideologiche, mentre nel caso della GenZ – cresciuta a pane, tecnologia e social – al centro c’è un rifiuto dell’eccesso. Consapevoli già da tempo dei rischi dell’eccessività (dal troppo lavoro all’eccessivo uso della tecnologia), i ragazzi cominciano a scegliere con serenità di darsi dei limiti.

Una prova di questa direzione culturale è anche la diffusione su piattaforme come Instagram e TikTok del fenomeno del deinfluencing. Sempre più creator, soprattutto appartenenti al mondo del beauty e della moda, cominciano infatti a dare consigli ai follower per impedire loro di comprare troppi prodotti.

«Ogni scelta che ha a che fare con il consumo responsabile (o critico) ha un risvolto politico», continua l’esperta. «Nello spiegare agli studenti questi fenomeni, cito sempre una frase di Padre Alex Zanotelli, missionario comboniano, secondo cui fare la spesa è come andare a votare. Quello che acquistiamo o no dice qualcosa anche sulle nostre idee. La nostra volontà di partecipare a una forma di consumo o a un’altra può cambiare il destino collettivo, quindi se concepiamo il loud budgeting come una forma di resistenza culturale, allora stiamo sicuramente assistendo a un movimento anche politico».

Cosa possiamo imparare dal loud budgeting

Se la diffusione di un trend come questo non sorprende granché in Stati come Regno Unito e Stati Uniti, dove parlare di soldi non è visto come un tabù, in Italia invece stiamo davvero assistendo a un cambiamento da non sottovalutare. Protetti da umorismo e schermi, cominciamo a sentirci più a nostro agio nell’affrontare conversazioni di questo tipo.

«La Generazione Z sta superando i retaggi culturali che vedono la sfera economica come qualcosa da tenere nascosto e il successo come qualcosa di cui sotto sotto vergognarsi. Soprattutto hanno abbattuto le differenze di genere, ancora tanto presenti», conferma la professoressa. «Sui social si infrange un muro, ma ci si sente anche più protetti». Il vero cambiamento, dunque, ci sarà quando cominceremo anche a parlarne faccia a faccia. E a quanto pare, manca poco.