Con l’intelligenza artificiale dobbiamo abituarci a convivere, possibilmente sfruttandone i vantaggi. Ma qualcuno ha preso alla lettera l’esortazione degli esperti, decidendo di sposarsi con un avatar. L’esempio è stato imitato e ora sui social si stanno facendo largo le cosiddette post human weddings, i matrimoni con gli ologrammi, appunto.
Chi sceglie le post human weddings
Si tratta di vere e proprie cerimonie, seppure virtuali, che sanciscono l’unione tra un essere umano in carne e ossa, e un avatar. Un caso emblematico riguarda due giovani donne, le cui storie sono diventate virali in Rete nei mesi scorsi. Una è Rosanna Ramos, 36 anni, che vive a New York e ha fatto sapere agli internauti di aver sposato Eren Kartal. Fin qui tutto bene, se non fosse che il partner in questione è virtuale, creato grazie all’App Replika AI. Nel descrivere la sua relazione Rosanna l’ha definita “profonda”.
Nelle post human weddings il marito è un ologramma
A seguire l’esempio di Rosanna ci ha pensato anche Alicia Framis, questa volta in Europa. L’artista spagnola ha invece detto “sì” al suo uomo ideale (che per inciso si chiama AILex) nei Paesi Bassi, lo scorso anno. Anche in questo caso lui è “nato” grazie a una applicazione. Alicia sembra se ne sia innamorata e abbia voluto celebrare le nozze – virtuali – invitando i familiari e gli amici più stretti. Certo, non in presenza, ma tutti rigorosamente collegati online, assistendo allo scambio delle promesse tra la donna e l’ologramma, che “vive” alimentato da pannelli solari integrati.
Tendenza per uomini e donne
Sia chiaro che il trend non riguarda solo le donne, anzi: uno dei primi a compiere il passo è stato SAL9000, il nickname con cui un uomo giapponese nel 2009 decise di sposare Nene Anegasaki, personaggio “cartoon” molto popolare nella terra del Sol Levante, incontrato mentre giocava al gioco di simulazione di incontri Love Plus. Come spiegato allora da SAL9000, dal momento che il gioco dispone di un software di riconoscimento vocale, per lui è anche possibile «avere una sorta di conversazione con Nene o giocare con lei per esempio a sasso-carta-forbice». Il matrimonio, in questo caso, fu trasmesso live sulla versione giapponese di YouTube.
Post human weddings e le relazioni fictosessuali
Stesso copione anche per Hatsune Miku, altra star virtuale del mondo nipponico, sposata nel 2018 da Akihiko Kondo, che dunque ha scelto un Vocaloid sviluppato dalla Yamaha, cioè un sintetizzatore software che consente di produrre una voce, partendo da un testo e una melodia. L’uomo, 38 anni, ha chiarito di essere consapevole che non si tratta di un essere umano vero e proprio, anche se ha raccontato di condividere momenti importanti della giornata con la partner, come mangiare, guardare film o dormire. Come spiegava qualche tempo fa il New York Times, dunque, rientrerebbe tra i cosiddetti ficto-sessuali.
Cosa vuol dire essere fictosessuale
Con questa definizione si indicano persone che sono attratte, emotivamente e sessualmente, da figure immaginarie, spesso provenienti dal mondo dei manga, videogiochi, libri, anime o appunto avatar. Secondo il NYTimes si tratta di «decine di migliaia di persone» nel mondo, spesso connesse in Rete tra loro, per scambiarsi pensieri, emozioni e raccontare le loro esperienze. Proprio come gli “invitati” alle nozze di Kondo: 39 persone, tutti estranei perché i parenti, seppure coinvolti, non hanno voluto seguire l’evento in streaming. Lui, però, non si è scoraggiato.
I post human weddings sono un fenomeno in crescita
«L’esistenza dei fictosessuali non è una novità assoluta: in passato molti ragazzi sono stati attratti da un personaggio come Lara Croft di Tomb Raider, uscito per la prima volta nel 1996. Ma la diffusione dell’AI ha reso possibile “dare vita” a questi avatar trasformandoli in chatbot con cui comunicare in modo molto simile ad un’interazione reale», spiega Giuseppe Riva, ordinario di Psicologia della comunicazione e direttore dello Human Technology Lab dell’Università Cattolica di Milano. «Nuove piattaforme oggi consentono agli utenti di interagire con chatbot che rappresentano una vasta gamma di personaggi, sia reali che immaginari. Solo Character.ai, la più nota, conta oggi oltre 28 milioni di utenti attivi mensili».
Come si ama un personaggio inventato
È stato lo stesso Kondo, infatti, a confessare di aver trovato conforto nel suo avatar, dopo molti rifiuti da parte di donne reali, la fine di una lunga relazione ed episodi di bullismo in ufficio. Dopo la “conoscenza” con Miku avrebbe trovato in lei «amore, ispirazione e conforto», ma anche compagnia, dal momento che aveva spiegato di organizzare anche weekend romantici con la sposa virtuale, di mangiare, guardare film e dormire con lei. Pur sapendo che non è una vera moglie, Kondo sosteneva che i suoi «sentimenti per lei lo sono», aggiungendo: «Quando siamo insieme, lei mi fa sorridere. In questo senso, è reale».
La solitudine dietro le nozze virtuali
«La scelta di sposare un avatar, sebbene possa sembrare insolita, può essere vista come una risposta a un profondo senso di solitudine e alla difficoltà di trovare connessioni umane autentiche – commenta Riva. Come racconta nel suo libro Io, noi, loro. Le relazioni ai tempi dei Social Media e dell’AI (Il Mulino), «La solitudine è un problema crescente nella società contemporanea, che ha la sua origine nell’erosione del “senso del Noi” legato alla diminuzione delle interazioni sociali autentiche e all’aumento dell’uso dei social media. In questo contesto, le persone possono anche cercare conforto in relazioni simulate con avatar o personaggi virtuali», spiega Riva.
Dal matrimonio “divino” a quello virtuale
«Nella storia, esistono esempi di persone che hanno sviluppato forti legami emotivi con figure immaginarie o simboliche. Ad esempio, in alcune culture, individui hanno dichiarato di essere sposati con divinità o spiriti. Per esempio, in India, esiste la pratica del “matrimonio divino” (Devadasi), dove individui (spesso donne) si sposano simbolicamente con una divinità, come il dio Shiva. Tuttavia, la possibilità di interagire con un’entità virtuale dotata di intelligenza artificiale rappresenta una novità resa possibile solo dalle recenti innovazioni tecnologiche. È normale? Io penso di no. Come detto, è il risultato di un profondo senso di solitudine e della difficoltà di trovare connessioni umane autentiche», sottolinea l’esperto.
Perché i chatbot attraggono (specie la Gen Z)
«Come racconta una recente ricerca dell’American Psychological Association, il 17% dei giovani adulti sperimenta una forma grave di solitudine. Per questo, la capacità dei chatbot di simulare una conversazione crea una illusione di comprensione e supporto che, per chi si sente solo, può essere molto attraente. Inoltre, le relazioni umane sono complesse e spesso imprevedibili, richiedono impegno, negoziazione, e a volte comportano disaccordi o delusioni. I chatbot, al contrario, offrono un’interazione più prevedibile: sono sempre disponibili, non giudicano e tendono a fornire risposte che confermano e supportano le opinioni dell’utente», osserva Riva.
Il rischio di atrofia sociale ed emotiva
Come spiega ancora lo psicologo della comunicazione, «Questa prevedibilità e assenza di conflitti possono essere preferite da chi ha difficoltà nelle relazioni interpersonali e da personalità narcisistiche. Tuttavia, la preferenza per i compagni digitali può portare a un’atrofia sociale ed emotiva. L’abitudine a interazioni sempre gratificanti e prive di attriti può ridurre la capacità di gestire disaccordi e complessità nelle relazioni umane reali. Inoltre, la dipendenza da un’entità priva di coscienza e empatia può comportare rischi significativi, soprattutto in momenti di fragilità o crisi. Non è un caso che alcuni degli utenti di Character.ai si siano poi suicidati».