chemioterapia preventiva per Kate

Kate Middleton e la “chemioterapia preventiva”

La Principessa del Galles ha raccontato di aver iniziato la terapia adiuvante per scongiurare una recidiva. L’esperto spiega di cosa si tratta, in che casi la si prevede e quanto conta la decisione del paziente

Kate Middleton si sta sottoponendo a una “chemioterapia preventiva”, dopo l’intervento all’addome dello scorso 17 gennaio. L’obiettivo è scongiurare che il tumore che le è stato diagnosticato (non specificato) non possa ripresentarsi. La prima reazione è stata che migliaia di cittadini britannici che in queste ore hanno deciso di effettuare controlli medici. Ma le parole della Principessa del Galles hanno sollevato interesse sul trattamento che sta seguendo. A cosa serve, in che casi, chi sono i soggetti indicati e quanto possono durare queste cure preventive? A rispondere è Saverio Cinieri, Presidente della Fondazione AIOM, Associazione italiana di Oncologia Medica.

Cos’è la chemioterapia preventiva?

«Intanto va detto che il termine corretto, più che chemioterapia preventiva, è terapia adiuvante», chiarisce Cinieri. «Esistono, infatti, diversi tipi di trattamento che hanno tutti lo stesso scopo: ridurre il rischio di recidive, quindi che il tumore si possa ripresentare. Non comprende, dunque, la sola chemioterapia. Nel caso di Kate Middleton, non sapendo per quale tipo di cancro si sta curando, è d’obbligo fare un discorso generale».

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Per quali tumori si ricorre a queste terapie?

«In genere questi trattamenti sono proposti dal medico che ha in cura il paziente oncologico dopo un intervento con cui si asporta in toto il tumore. È un percorso previsto già dagli anni ‘70, introdotto per la prima volta in Italia all’Istituto nazionale da Giovanni Bonadonna, in particolare in casi di asportazione di cancro alla mammella. Diminuisce la probabilità che il tumore possa tornare e aumenta le probabilità di sopravvivenza», spiega Cinieri.

Per che tipo di tumori è prevista la cura adiuvante?

«Nel corso degli anni ulteriori studi medici hanno dimostrato l’efficacia di questo tipo di approccio preventivo, in particolare in caso di tumori al colon asportati, di alcuni tipi di neoplasie ai polmoni, ma anche con i melanomi, in questo caso non con chemioterapia, ma con immunoterapia. Sono previsti trattamenti adiuvanti anche per alcuni tumori – cosiddetti a bassa crescita, GIST – ad alcuni tratti intestinali. Man mano che si scoprono nuove molecole e strategie, il ricorso a trattamenti adiuvanti aumenta» spiega l’oncologo.

Perché Kate vi avrebbe fatto ricorso?

«Come detto, è difficile entrare nel merito perché non sappiamo che tipo di intervento e per cosa, sia stato effettuato a Kate Middleton. Ma in genere le neoplasie all’addome, inteso in modo generico, prevedono terapie adiuvanti. Oltre al colon, già citato, si possono ipotizzare in caso di tumore all’apparato genitale femminile, quindi alle ovaie, una volta asportato ed eventualmente “ripulito” ciò che è stato intaccato. Si tratta di interventi delicati ai quali segue, a volte, un trattamento di chemioterapia. Per alcuni pazienti potrebbe anche essere indicata una terapia ormonale», spiega l’esperto.

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Qual è l’identikit del paziente di una terapia adiuvante?

Dal momento che l’obiettivo è scongiurare che il tumore si ripresenti, si potrebbe pensare che il trattamento preventivo sia più indicato per persone giovani o di età media, ma non è così: «In realtà ogni scelta terapia va correlata a diversi fattori: tra questi c’è l’età, ma ci sono anche il tipo di tumore e le condizioni generali del paziente. Ci sono anziani in ottime condizioni generali oppure possono capitare giovani che hanno anche altre problematiche medico-sanitarie che li rendono meno adatti a certi trattamenti, per esempio, un’insufficienza renale», sottolinea il Presidente della Fondazione AIOM.

Quali sono i pro e i contro?

«Sui vantaggi ci sono pochi dubbi: ridurre le recidive. Quanto alle possibili controindicazioni, l’oncologo dovrà valutare la situazione nel suo insieme prima di proporre il trattamento più adeguato al paziente. Molto dipende dai farmaci che si intendono somministrare: alcuni possono dare una tossicità renale, appunto, o epatica, oppure altri hanno una ricaduta sui livelli di globuli bianchi e rossi, come per la chemioterapia, o possono portare ad alopecia, quindi caduta completa dei capelli, o ancora nausea e vomito – prosegue Cinieri – Va valutato caso per caso».

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Quanto può durare una terapia adiuvante?

«Dipende, come si diceva, dalla patologia specifica. Una terapia endocrina può durare da 5 a 10 anni. Ma nei casi di tumori al retto, per esempio, la ricerca clinica italiana ha dimostrato che possono essere sufficienti anche 3 mesi di chemioterapia rispetto ai 6 classici previsti. Se invece si parla di immunoterapia il tempo medio è intorno a un anno. Diciamo che si può andare mediamente da 6 mesi fino a 5 anni», dice Cinieri.

Perché è importante il coinvolgimento del paziente?

«È fondamentale perché si parla di una cura in assenza di malattia, è una terapia preventiva. Lo scopo è appunto evitare che la patologia torni, quindi occorre che il paziente sia informato sui rischi e benefici della cura e scelga con convinzione», conclude l’oncologo.

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