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È ora di mettere il lavoro in pausa

Schiacciati dall’imperativo della performance, anche quando “stacchiamo”, lo facciamo soltanto per essere più produttivi. Quello che occorre, invece, è fermarci per ritrovare il nostro centro. Non per forza con le dimissioni o l’anno sabbatico. Elogio della micro-sosta

Quando Chiara, 37 anni, ha deciso di scrivere una email a Giulio, il bel 40enne che dirige l’ufficio del personale dell’agenzia di pubblicità dove lei lavorava, aveva un dubbio: invitarlo a un caffè o comunicargli direttamente la sua decisione. «Voglio prendere un’aspettativa e andare via, ecco cosa gli ho scritto. La sognavo da tempo ma rimandavo sempre finché, conoscendo Giulio, mi è sembrata un’idea realizzabile. Avevo una convivenza alle spalle e volevo lasciare Milano, rallentare, fare un viaggio e ritrovarmi. Dopo l’incontro formale io e Giulio abbiamo preso una birra, e via. Sono partita per le Marche per stare un po’ con la mia famiglia, poi è arrivato il Brasile. Un viaggio in cui ho sentito Giulio ogni giorno e che si è concluso con un biglietto aereo per rivederlo e dopo poco con un test di gravidanza. Tra un mese saremo genitori e, a parte un figlio, il mio anno in stand-by ha prodotto una certezza: il futuro è lontano da Milano».

La scelta di Chiara appartiene ai sogni di molti. Prendersi una pausa, per riflettere e rimettersi in carreggiata alla ricerca della felicità, è ormai un’ambizione sempre più diffusa. A tutte le età. È successo ai piani alti della politica – vedi le dimissioni di Jacinda Ardern, premier, neozelandese, e Rudolf Anschober, ministro austriaco della Salute – e accade spesso anche tra i giovani.

Pausa dal lavoro: la storia di Tommaso

Tommaso, 30, anni, impiegato torinese, era stanco di un contratto che gli chiedeva tempo senza dargli in cambio qualità della vita o stipendio all’altezza. «Ho accumulato ferie e permessi per andare via 6 mesi, visto che non avevo i requisiti per l’aspettativa e ho avviato con alcuni amici un’azienda agricola nel Monferrato» racconta. «Volevo impegnare testa e corpo, sono rimasto sempre in campagna. Anche le dimissioni le ho chieste in videocall. I miei amici lavorano in città e mi aiutano, io invece ho scelto una vita che mi somiglia di più: la pausa è diventata un destino».

Pausa dal lavoro: il fenomeno delle Grandi Dimissioni

È il tempo delle Grandi Dimissioni del resto, un fenomeno in aumento, in cui il lavoro è ritenuto tossico e poco attento alla crescita professionale ma soprattutto umana. «Ed è il segnale che una rivoluzione nella gestione del tempo è sempre più necessaria» precisa Massimiliano Pappalardo, filosofo del lavoro e consulente aziendale. «Facciamo tutto nel modo più veloce possibile, pronti a sostituire un obiettivo con l’altro: una guerra costante all’idea di quiete e di indugio, di studio e di silenzio. Per questo è essenziale recuperare il tempo da dedicare a se stessi, tornare a una forma di ozio che non è mai dolce far niente ma resistenza al pensiero del fare a ogni costo. L’otium per i latini era il momento topico dello studio e della rifessione e iniziava quando il lavoro cessava. Solo dopo tornavano con maggior consapevolezza al negotium, ossia alle funzioni richieste dalla vita pratica» continua Pappalardo, autore del saggio Filosofa del lavoro (Effatà).

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«L’imperativo neoliberista della prestazione trasforma il tempo solamente in quello del lavoro di cui la pausa – che sia il caffè, il relax, la vacanza – è una fase. Stacchiamo in un modo funzionale alla professione. Serve invece tendere a un indugio che significhi recupero dell’attesa e della riflessione sul nostro io, affinché possiamo dire, come Antoni Gaudì, “edificando la mia opera, io edifico me stesso”» È ciò che si dice anche Jean Dujardin nei panni dello scrittore Sylvain Tesson nel flm A passo d’uomo, quando sul letto di un ospedale promette a se stesso che, uscito da lì, avrebbe percorso a piedi la Francia.

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Ripartire a piccoli passi

A passo d’uomo, per l’appunto: ripartire dai propri ritmi, con altre mete e soste. Per deviare se serve e scoprire l’incanto di un luogo che parla di noi. È la “filosofia della sosta e dell’indolenza” che Patrick Manoukian racconta in L’arte di perdere tempo (Ediciclo) un invito che si ispira a un detto ruandese: la strada non insegna al viaggiatore ciò che lo attende nelle soste. «Nell’era post Covid, prima dei due anni di servizio 18 assunti su 100 in Italia hanno lasciato il posto di lavoro. Sono dati di Confindustria e delle società di recruitment: le persone si fermano per ritrovarsi, in qualche modo» aggiunge Pappalardo.

«Certo, l’anno sabbatico è per privilegiati, l’operaio non può permetterselo. Ma ognuno può scegliere la propria pausa sulla base delle sue condizioni. È importante che sia vissuta non come fuga disordinata e istintiva, ma come frutto di progettazione e realismo. Papa Benedetto XVI è l’esempio che mi viene in mente: ha compreso che un passo indietro nella “multinazionale più longeva della storia” avrebbe rappresentato un segno efficace di cambiamento concreto. Chi cerca di fermarsi ha comunque realizzato che la vita non è una prova generale ma è “buona la prima”, e il tempo per edificare altro dal lavoro non è moltissimo».

Hai bisogno di una pausa dal lavoro? Ecco i segnali

I segnali che è arrivato il momento di una pausa sono chiari. Sei stanco. Sei distante da ciò che fai, come se diventassi alieno a te stesso. Senti infine che l’obiettivo di ciò che fai non ti gratifica. Non è facile però mollare tutto. Il senso di colpa immobilizza, soprattutto se la scelta coinvolge altre persone. Per fortuna i benefici esistono. «Una pausa mi aiuta a ricentrarmi, ovvero a capire dove mi trovo, dove sto andando, e di cosa ho bisogno. Mi permette di regalarmi il tempo che mi sono negato e di capire meglio quali sono i miei valori, ovvero che tipo di persona voglio essere nel mondo» sottolinea Lara Pelagotti, psicologa e autrice di Primo Soccorso Psicologico (Rizzoli).

«Le persone decidono di “so-stare”, come piace dire a me, per ragioni accomunate da un bisogno. poter dire “io sono qui”. Quella di fermarsi è un’esigenza che arriva spesso dalle donne, vittime di burnout e di uno stile di vita “richiestivo” frutto di un sovraccarico di lavoro e famiglia».

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Valorizzare le micro-pause

Per ritagliarsi la necessaria pausa può essere utile partire dalle parole, che sono evocative e spesso aiutano. «“Pausa” mi ricorda mio nonno, una persona che lavorava tanto ma sapeva anche prendersi tante micro-pause per dedicare tempo ai suoi interessi e alle persone a cui teneva» racconta Pelagotti.

«Spesso sentiamo il bisogno di una grande pausa perché non riusciamo a coltivare micro-pause, ovvero a tenere in piedi settori di vita solo per il piacere e non il dovere di farlo. Amici, relazioni, passioni. C’è un paesino sull’Appennino ligure immerso nei boschi, dove vivono in 20. Si chiama Cassagna e gli abitanti sono in perenne pausa dal mondo frenetico. L’anno sabbatico, ovviamente, non sanno cosa sia. In realtà neanche noi, perché è un’usanza tipica dei Paesi del Nord Europa. Gli italiani optano sempre di più per l’anno libero tra la maturità e l’università. Crescendo dovrebbero invece mirare ad altro: coltivare il potere della micro-pausa. Gli anni sabbatici non risolvono nulla, se nulla dentro di noi cambia».

I benefici del time-out

  • Ricentrarsi: ovvero, capire dove mi trovo, dove sto andando e di cosa ho bisogno.
  • Regalarsi tempo: aiuta a sentirsi liberi e agenti della propria vita.
  • Conoscersi: comprendere quali sono i miei valori, rivela chi sono.
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