Il tempio dove ho coltivato mio malgrado la sacra arte del saper attendere aveva l’odore di caffè e di naftalina, il riscaldamento a pannelli e il divano di velluto verde. Ci restavo seduta per un’ora che durava tre giorni, una domenica sì e una no, in visita alla nonna. Pressoché in silenzio, più o meno composta, mentre in sottofondo scorrevano aggiornamenti sulla salute di parenti di cui, in genere, ignoravo l’esistenza. Ora prova a immaginarti una scena analoga ambientata adesso, anno 2025. La bambina, probabilmente, avrebbe gli occhi fissi sul suo smartphone o su quello di mamma o papà, affidatole temporaneamente nella speranza che lei, rapita dallo schermo, non faccia capricci, non interrompa in continuazione gli adulti che chiacchierano, se ne stia un po’ zitta e buona.

I nostri genitori non ci mettevano al centro

«Col tempo, siamo passati da una visione adulto-centrica, del tutto disinteressata alle opinioni e alle preferenze del bambino, a un approccio troppo focalizzato su di lui», spiega Giada Zurlo, educatrice di discipline positive per genitori, fondatrice di Genitori Diversi. «Non si tratta di idealizzare il passato, anche perché la maggior parte dei cambiamenti fatti a scopo educativo sono sacrosanti, ma bisogna trovare una via di mezzo, concentrandosi sulla famiglia nel suo insieme. Il potere decisionale va suddiviso con equilibrio tenendo conto che il bambino è un individuo le cui idee vanno rispettate, senza però scordare che non è ancora del tutto responsabile, non ha abbastanza esperienza né la capacità di prevedere le conseguenze delle sue azioni. Siamo noi adulti a dover compensare quelle mancanze, senza sovrastarlo ma guidandolo con sensibilità e fermezza». In quest’ottica, ecco cinque abitudini che avevano i nostri genitori, ormai quasi sparite, che andrebbero riportate in auge.

Ci coinvolgevano nelle faccende domestiche

Sparecchiare, lavare i piatti, stendere il bucato: per la maggior parte di noi erano incombenze quotidiane. Adesso, in molte famiglie, fanno tutto papà e (più spesso) mamma. «Alcuni genitori non chiedono la collaborazione dei figli perché li considerano troppo piccoli e non capaci di fare i mestieri con cura o perché ci tengono in modo particolare che abbiano un curriculum perfetto e preferiscono che impieghino il loro tempo in altro modo, ad esempio impegnati in attività extrascolastiche», spiega Giada Zurlo. «In realtà, dare una mano con le faccende domestiche permetterebbe ai bambini di sentirsi parte di una squadra e li aiuterebbe a imparare da subito che, quando si vive in comunità, si hanno dei diritti ma anche dei doveri».

Tra le abitudini dei nostri genitori c’era lasciarci giocare da soli

Lo vedi lì, da solo, con le sue macchinine (le bambole, le costruzioni..), ed è più forte di te: alzi la mano il genitore che non si sente in obbligo di giocare con il proprio bambino. «In realtà, giocare da solo gli fa bene: lo aiuta a conoscere meglio se stesso e ad auto-intrattenersi, stimolando l’immaginazione. Il nostro intervento, seppur fatto con le migliori intenzioni, rischia di limitare questa naturale esplorazione. Noi tendiamo a imporre regole e a dare soluzioni, e qui non è un bene. Un adulto che, ad esempio, trova subito il pezzo mancante di un puzzle toglie al bambino l’occasione di allenarsi alla pazienza e alla frustrazione. Lo stesso accade quando mettiamo becco in un litigio tra ragazzini che giocano: risolvendo il bisticcio al posto loro, impediamo ai bambini di esercitarsi nella ricerca autonoma di compromessi e nella gestione dei conflitti».

I nostri genitori non erano sempre disponibili

Mamma! Non appena la parolina magica è stata pronunciata, la maggior parte di noi interrompe in fretta quello che sta facendo. Manca poco che si metta sull’attenti. Specie se è impegnata in qualcosa che la sta “semplicemente” divertendo o rilassando, come le chiacchiere con le amiche o la lettura di un libro. «Tendiamo, altrimenti, a sentirci un po’ in colpa», osserva l’educatrice. «Ma dando immediatamente retta al bambino non lo aiutiamo a comprendere che anche gli adulti hanno esigenze e tempi da rispettare, e non solo. In una società come questa, che allena così poco all’attesa – con un click possiamo ottenere tutto subito, dalla spesa a domicilio alla serie preferita sullo schermo -, tocca a noi insegnare ai piccoli una competenza chiave, che è quella di saper aspettare. Importante sempre, sarà fondamentale quando punteranno a raggiungere obiettivi complessi, che potranno realizzarsi soltanto con pazienza e tenacia».

Non ci consideravano fragili

Col senno di poi, verrebbe quasi da dire che i nostri genitori, a volte, a noi lasciavano fin troppa libertà. Di arrampicarci sull’albero più alto del parco, nuotare tra i cavalloni, andare a scuola in bicicletta sfidando il traffico. «Adesso, all’opposto, l’attenzione per la sicurezza dei bambini spesso è eccessiva», spiega Giada Zurlo. «Tendiamo a considerarli fragili, sia fisicamente che emotivamente, ma in realtà non lo sono. O meglio, finiscono per diventarlo se cerchiamo di proteggerli da tutto, a ogni costo. Come genitori, vediamo pericoli ovunque e, per paura, vorremmo eliminare qualsiasi rischio o delusione dalla vita dei nostri figli. Ma così facendo, li priviamo delle occasioni che servono a diventare forti, autonomi e resilienti. La prudenza è necessaria, ma crescere iperprotetti è un grande limite».

Decidevano i nostri genitori “oggi cosa si fa”

Per far felici i figli (e talvolta anche per quieto vivere), molti genitori finiscono per mettere da parte i propri desideri. Via i musei, vai di luna park. Niente cene al ristorante, solo fast food. Ma costruire una quotidianità esclusivamente a misura di bambino non è una scelta equilibrata. «Adeguarsi sempre alle preferenze dei più piccoli non li aiuta a crescere e non rende la famiglia più serena», conferma l’educatrice. «Bisogna trovare un punto d’incontro: proporre esperienze che piacciano un po’ a tutti e, al tempo stesso, accompagnare i bambini nel nostro mondo. Il compito dell’infanzia è preparare loro alla vita degli adulti, e non viceversa. Non servono esperienze straordinarie: basta coinvolgerli nella nostra routine, portarli in biblioteca, al supermercato. In questi spazi, capiscono che non tutto ruota intorno a loro, imparano a rispettare le esigenze altrui. E hanno la possibilità di sentirsi utili: poche esperienze sono più appaganti».