Fanno discutere le parole utilizzate da un pubblico ministero di Brescia nel caso di una moglie del Bangladesh, residente in Italia, vittima di presunti maltrattamenti da parte del marito (nel frattempo diventato ex), anch’egli bengalese.

Il pm: “Un fatto culturale, la moglie sapeva”

Come riporta il Giornale di Brescia, chiedendo l’assoluzione per l’imputato, il pm ha sottolineato che il comportamento dell’uomo sarebbe connesso all'”impianto culturale” del paese d’origine.
“I contegni di compressione delle libertà morali e materiali della parte offesa da parte dell’imputato – ha detto nello specifico il pm – sono il frutto dell’impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia sulla medesima, atteso che la disparità tra l’uomo e la donna è un portato della sua cultura che la medesima parte offesa aveva persino accettato in origine”.

Lo sfogo della moglie

Incredula l’ex moglie, nata in Bangladesh, ma cresciuta in Italia, che nel 2019 ha trovato il coraggio di denunciare. L’amaro sfogo in un’intervista al Giornale di Brescia: “Dov’è la giustizia e la protezione tanto invocata per le donne tra l’altro incoraggiate a denunciare al primo schiaffo? – si chiede – Oppure il fatto che io sia una bengalese tra le tante, mi rende di meno valore dinanzi a questo pm?”.

“Sono stata trattata da schiava, picchiata, umiliata. Costretta al totale annullamento con la costante minaccia di essere portata definitivamente in Bangladesh” – continua -. Non può certo la cultura essere una scusante come scrive il pm. Io ho lottato per me, per le mie figlie e continuerò a farlo per le donne che subiscono oggi quello che ho subito io, affinché possano sentirsi libere di denunciare senza subire i pregiudizi”.

Tradizionali anelli nuziali bengalesi

Il matrimonio combinato

Tra le parole affidate al Giornale di Brescia la donna ricorda il matrimonio con l’imputato, cui lei si era opposta: “Sono stata venduta per 5.000 euro dai miei zii“. “Da subito mi ha costretta a stare in casa. (…) Potevo solo uscire quando c’erano serate con le mogli degli altri ed ero obbligata a indossare abiti islamici. Non potevo dire nulla, oppormi a queste situazioni, altrimenti ricevevo urla, insulti e botte…”.

Verso la sentenza

Ora, in attesa della sentenza prevista per ottobre, la donna che si è costituita parte civile contro il marito ha manifestato un auspicio. “Aspetto con fiducia la sentenza perché – le sue parole – non posso pensare e credere che in una nazione come l’Italia si possa permettere a chiunque di fare del male ad altri impunemente solo perché affezionato a una cultura nella quale la donna non conta nulla e l’uomo può su di lei tutto, anche porre fine alla sua vita. Solo per una questione di obbedienza culturale. Ciò in Italia non può accadere“.