Il Parlamento europeo ha avviato una riflessione concreta sull’opportunità di vietare l’utilizzo degli smartphone nelle scuole da parte degli studenti tra i 6 e i 15 anni. A lanciare la proposta è stato il gruppo dei Verdi. Il gruppo ha chiesto alla Commissione europea di intervenire per limitare la diffusione dei dispositivi digitali nelle aule scolastiche. In Italia, una misura simile è già formalmente in vigore fino al termine della scuola media (13 anni), ma potrebbe essere presto estesa. Il Commissario europeo all’Istruzione ha infatti sottolineato i rischi legati all’eccessiva esposizione agli schermi e alla crescente dipendenza da strumenti digitali da parte dei più giovani.

Dalla scuola a casa

Il problema, tuttavia, non si esaurisce nelle mura scolastiche. Se le famiglie non adottano comportamenti coerenti con le misure adottate nelle scuole, l’efficacia di un eventuale divieto rischia di essere fortemente ridotta. A ricordarlo è anche Skuola.net, che ha analizzato i risultati di una recente indagine dell’Università di Milano-Bicocca, condotta attraverso il progetto EYES UP, su un campione di oltre 6.600 studenti del secondo e terzo anno delle scuole superiori di cinque province lombarde (Milano, Monza e Brianza, Brescia, Cremona e Mantova).

Smartphone sempre più precoci

L’indagine della Bicocca si concentra in particolare sulla cosiddetta «precocità digitale». Ovvero l’accesso a smartphone, tablet, social network, videogiochi e app di messaggistica già in età molto giovane, spesso senza la supervisione di un adulto. Il quadro emerso mostra come il primo contatto con lo smartphone avvenga, per la maggior parte degli adolescenti (45%), al termine della scuola primaria, in coincidenza con il passaggio alla scuola media.

Come incide il livello di istruzione dei genitori

Il livello di istruzione dei genitori incide significativamente su questo fenomeno. Nelle famiglie dove entrambi i genitori sono laureati, il 26% degli studenti riceve il primo smartphone solo dopo i 14 anni, rispetto al 13% delle famiglie in cui nessuno dei genitori ha un diploma. Un dato che evidenzia un diverso approccio educativo, probabilmente più cauto nelle famiglie culturalmente più attrezzate.

Quando arriva il primo smartphone

L’arrivo del primo smartphone coincide, per l’86,5% dei ragazzi, con l’accesso immediato a piattaforme di messaggistica come WhatsApp o Telegram. Tuttavia, la creazione del primo account social avviene con tempistiche meno uniformi. A 11 anni, il 30% dei ragazzi ha già un profilo sui social. Mentre un’altra quota consistente riceve lo smartphone personale proprio in quel periodo, generando una discrepanza tra accesso al dispositivo e uso dei social.

Smartphone e rendimento: una relazione negativa

Come evidenziato da Skuola.net, l’analisi dell’Università di Milano-Bicocca non si limita al dato anagrafico, ma si concentra sull’impatto concreto dell’uso precoce degli smartphone sulle performance scolastiche. Utilizzando anche i risultati delle prove INVALSI (lingua italiana, matematica e inglese), lo studio ha rilevato una correlazione diretta tra l’accesso anticipato ai social network e il calo dei risultati scolastici. Un dato emblematico riguarda il test di italiano della terza media: un solo anno di anticipo nell’apertura del primo account social si traduce in un calo di 0,05 deviazione standard nei punteggi ottenuti. Un impatto che, pur non essendo enorme, è statisticamente significativo. La stessa tendenza è stata riscontrata nei risultati di matematica.

Tablet e videogiochi meno impattanti degli smartphone

Un altro aspetto approfondito dalla ricerca riguarda la differenza tra l’uso dei vari dispositivi. A sorprendere è il dato secondo cui tablet, videogiochi e app di messaggistica non sembrano incidere in modo rilevante, nel medio periodo, sul rendimento scolastico. Diversamente, la presenza di uno smartphone e l’uso dei social media rappresentano i fattori con maggiore incidenza negativa sull’apprendimento. Alla base di questa differenza ci sarebbe il livello di pervasività dello smartphone nella vita quotidiana. Il 53% degli studenti afferma di usarlo subito dopo il risveglio, il 22% anche durante la notte. Il 30% lo utilizza mentre fa i compiti, e oltre la metà (51,1%) lo consulta anche durante le lezioni, nonostante il divieto. Questo uso intensivo compromette non solo l’apprendimento diretto, ma anche la cosiddetta «autoefficacia scolastica», ovvero la fiducia dello studente nella propria capacità di affrontare compiti e sfide scolastiche. Più è pervasivo l’utilizzo dello smartphone, più bassa è questa percezione.

Le diseguaglianze crescono con il digital divide

Uno degli aspetti più critici emersi dallo studio riguarda la correlazione tra precocità digitale e condizioni socio-economiche delle famiglie. I ragazzi che ricevono lo smartphone in età più giovane appartengono con maggiore frequenza a famiglie con basso livello di istruzione, reddito modesto o origine straniera. In questi contesti, l’accesso ai dispositivi è spesso privo di regole o supervisione. Si crea così un paradosso: le famiglie più fragili sono quelle in cui i ragazzi risultano più esposti ai rischi legati all’iperconnessione. Un fenomeno che alcuni studiosi definiscono «capovolgimento del digital divide»: non sono più le fasce sociali più abbienti a essere più connesse, ma quelle più deboli, e non sempre in modo consapevole o sicuro.

La proposta dell’Emilia-Romagna

Sul tema è intervenuta anche Isabella Conti, assessora regionale a Scuola e Welfare dell’Emilia-Romagna, che ha rilanciato la necessità di una legge nazionale per limitare l’uso degli smartphone nelle scuole. La proposta è stata ribadita in occasione della presentazione degli Stati generali dell’infanzia e dell’adolescenza. Per Conti, servono «cambiamenti radicali» per contrastare le conseguenze negative che i dispositivi digitali stanno provocando nella salute e nel benessere psicologico dei più giovani. In questa cornice, anche l’ex ministra Marianna Madia è al lavoro su una proposta di legge bipartisan per regolamentare l’accesso agli strumenti digitali da parte dei più giovani. Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara è stato invitato a discutere il tema, che si candida a diventare una delle priorità del dibattito politico ed educativo europeo.