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Infertilità maschile, è allarme. Ma si può curare

Inquinamento, riscaldamento globale, ma anche stili di vita scorretti possono portare a infertilità dell’uomo. Ma si può intervenire, prima che sia troppo tardi

Si parla tanto di calo di natalità, ma una delle cause – poco sottolineata – è l’infertilità maschile, che invece sta aumentando e preoccupa gli esperti. L’allarme è arrivato dal 28° Convegno di Medicina della Riproduzione, da cui è emerso un dato preoccupante: si stima che il Veneto nel 2033 avrà perso circa 45 mila abitanti, con un crollo delle nascite a 10mila. Ma il problema non riguarda solo questa regione.

Crollo delle nascite e infertilità: la “tempesta perfetta”

«Di fronte a un calo delle nascite a livello mondiale, la Società europea della medicina della riproduzione ha creato un team di 10 esperti internazionali per indagare il trend e trovare soluzioni. È stata osservata, a livello mondiale, una riduzione nel numero totale di spermatozoi e quindi una riduzione della fertilità del maschio, che potrebbe avere un certo significato nella denatalità. Si sospetta che tra le cause ci possa essere una correlazione tra l’inquinamento ambientale e possibili alterazioni genetiche», spiega Carlo Foresta, professore ordinario di Endocrinologia all’Università di Padova e Presidente della Fondazione Foresta onlus per la riproduzione.

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L’infertilità maschile si cura poco

Un altro elemento che osservano gli esperti, però, riguarda il fatto che l’infertilità maschile oggi si cura poco. «L’incremento dell’infertilità maschile non trova ad oggi un attento approccio clinico per individuare le cause e quindi procedere con un preciso trattamento. Solitamente, infatti, si tenta di risolvere il problema non con cure specifiche, ma attraverso tecniche di procreazione medicalmente assistita, facendo ricadere il peso del trattamento sulla donna – osserva l’endocrinologo – Come tutte le patologie, invece, si può intervenire sul maschio infertile con percorsi terapeutici mirati».

Perché cala la fertilità maschile

Entrando nel merito della questione, come ricorda la SIAMS (Società Italiana di Andrologia e Medicina della Sessualità) negli ultimi 40 anni abbiamo assistito al dimezzamento del numero di spermatozoi prodotti dall’uomo che, di questo passo, potrebbero addirittura azzerarsi entro il 2070. Gli studi mostrano che in Occidente si è passati dai 101 milioni di spermatozoi ogni ml di liquido seminale nel 1970 ai 49 milioni ml nel 2018. Tradotto significa che mentre fino al 2000 la riduzione era in media dell’1,6%, nell’ultimo ventennio il tasso è più che raddoppiato 2,64% all’anno. Da qui la preoccupazione e la ricerca delle cause: «I fattori che possono contribuire sono diversi: l’inquinamento, il riscaldamento globale che porta anche un aumento delle temperature e quindi a un calo della motilità degli spermatozoi, e poi l’alimentazione e lo stile di vita, come fumo e obesità», spiega Foresta.

Quanto contano inquinamento e surriscaldamento

Il calo degli spermatozoi, però, interessa anche tra le popolazioni asiatiche, africane e sudamericane, che tradizionalmente non sono ritenute colpite dal calo demografico. Invece, come riporta uno studio pubblicato su Scientific Report, in Sud Africa e Nigeria si è osservato un calo dell’89% della motilità degli spermatozoi tra il 2010 e il 2019, insieme a un peggioramento dei parametri dello sperma con l’avanzare dell’età. In Italia, invece, è stata studiata l’influenza dell’inquinamento valutando la relazione tra infertilità e PFAS, soprattutto nel Veneto, dove da tempo si registra un’alta concentrazione nelle acque del triangolo Padova, Verona e Vicenza: «Gli PFAS sono interferenti endocrini che si è visto che riducono l’efficacia del testosterone del 40/50%, alterando anche la produzione di spermatozoi», conferma Foresta, che aggiunge: «Anche il riscaldamento globale è una minaccia per gli spermatozoi. I testicoli, infatti, sono molto sensibili alla temperatura e la loro localizzazione nello scroto è giustificata dal fatto che in tale sede la temperatura è 2 gradi inferiore alla temperatura corporea».

Quanto conta l’alimentazione

«Anche le abitudini alimentari possono incidere negativamente sulla spermatogenesi quando determinano situazioni cliniche come obesità e diabete. Pertanto è necessario che il maschio infertile consideri con molta attenzione un’equilibrata alimentazione per migliorare la produzione degli spermatozoi. In particolare, alcuni nostri studi hanno dimostrato che la dieta Mediterranea rappresenta ancora l’alimentazione più equilibrata e utile anche ai fini della fertilità. In particolare sono consigliate corrette dosi di frutta e verdura, ma anche cereali e proteine, con un avvertimento: è importante non eccedere, per esempio, proprio con le proteine come invece accade a molti uomini che praticano un’intensa attività fisica. Questi nutrienti, infatti, se in eccesso possono contribuire alla formazione di elementi tossici che riducono la produzione di spermatozoi. Attenzione anche ai lipidi», sottolinea l’endocrinologo.

L’obesità è nemica della fertilità

«L’eccessi di peso e l’obesità in particolare non aiutano per vari motivi.  Innanzitutto sono spesso associati a diabete e alti livelli di colesterolo, che limitano l’attività del testicolo nella riproduzione e danneggiano i delicati meccanismi vascolari responsabili dell’erezione, necessari per una sana sessualità  – prosegue l’esperto – Inoltre, il tessuto adiposo in eccesso contribuisce a trasformare il testosterone in estrogeno: questo comporta una spermatogenesi alterata. Infine, se si è in presenza di una obesità grave, il tessuto adiposo causa un aumento della temperatura a livello delle gonadi, che è sempre un elemento negativo ai fini della fertilità», spiega Foresta.

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Campanelli d’allarme e prevenzione

«Oltre all’obesità attenzione anche ad alcol e fumo, ma anche a certe abitudini che possono non essere salutari, se in eccesso. Per esempio, la frequentazione assidua delle saune o intensi e continui allenamenti in bicicletta possono nuocere proprio perché possono contribuire all’aumento del calore» spiega Foresta, che insiste, però, sull’importanza della prevenzione. «Io consiglio una prima visita andrologica attorno ai 14 anni seguita da un esame del liquido seminale già a 18 anni, che possa far emergere possibili problemi di fertilità in una fase in cui è ancora possibile, per molte cause, limitare il danno o attuare delle strategie terapeutiche senza ritardare in futuro la ricerca di una gravidanza. Mi riferisco a una malattia genetica, all’ipotrofia testicolare, ma anche alle patologie testicolari vascolari (come il varicocele) e metaboliche. Se i parametri del liquido seminale risultassero nella norma, allora ci si può limitare a mantenere la fertilità, con uno stile di vita corretto. Sarebbe sufficiente un controllo periodico».

Come si cura l’infertilità

«L’infertilità maschile è una patologia che può avere molte componenti. Per le cause genetiche le possibilità terapeutiche sono limitate, ci sono altri fattori che sono curabili: per esempio, le malattie infettive e soprattutto il Papilloma virus, che purtroppo non si cerca ancora nel liquido seminale. Altre cause sono associate a problemi ormonali, sui quali possiamo agire con una terapia specifica sostitutiva: per esempio, si può prevedere un trattamento con l’FSH, l’ormone che regola la produzione di spermatozoi e che serve quindi per stimolarne la produzione – spiega Foresta – Esistono anche altre terapie in grado di interagire con i meccanismi endocrini coinvolti nella produzione di spermatozoi. Rimane un punto fondamentale intervenire modificando gli stili di vita (peso, inattività fisica, fumo, uso di sostanze) che come abbiamo visto in precedenza impattano pesantemente sulla qualità del liquido seminale. Infine è possibile ricorrere ai nutraceutici, se in giusta misura e su precisa indicazione precisa del medico. È importante, però, effettuare una diagnosi e intraprendere un trattamento prima di saltare subito alla fecondazione assistita. Anche perché una persona infertile spesso ha anche altre patologie, come quelle cardiovascolari, metaboliche o ormonali che vanno affrontate e curate indipendentemente dalla fertilità: ricorrere alla provetta può dargli un figlio, ma non fargli notare un problema di salute generale», conclude Foresta.

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