Non basta giustificarsi lamentando di non avere sufficienti conoscenze informatiche né affermare di aver chiesto ai figli di condividere le password, se poi questi hanno creato falsi profili e bloccato i genitori. Mamma e papà devono controllare cosa fanno i figli online e se i ragazzi e le ragazze insultano amici e coetanei, o si rendono autori di revenge porn, o modificano le immagini con l’intelligenza artificiale, i genitori sono responsabili.
Genitori responsabili della vita online dei figli
Non deve stupirci l’ultima sentenza del tribunale di Brescia (879 del 4 marzo scorso) che condanna i genitori di una ragazza con lieve ritardo intellettivo a risarcire con 15mila euro una coetanea insultata più e più volte e perseguitata online dalla figlia, accusata di atti persecutori, diffamazione aggravata e detenzione di materiale pedopornografico. La ragazza era riuscita a eludere la sorveglianza dei genitori creando vari profili fake con cui tormentava la compagna di classe ma i giudici hanno ritenuto responsabili comunque i genitori. «Stanno aumentando le sentenze in cui i giudici sottolineano la responsabilità dei genitori riguardo ai comportamenti online dei propri figli, e li condannano per non aver vigilato: i genitori, da parte loro, si difendono, cioè si ritengono non colpevoli perché con scarse capacità informatiche, insomma non in grado di seguire i figli nella loro vita online» conferma l’avvocata Luisa Marraffino, avvocata esperta di reati informatici, consulente legale di Terre des Hommes. «Un principio inaccettabile perché l’educazione digitale rientra nel doveri dei genitori, che vengono infatti condannati sulla base del principio della culpa educando».
Sempre più bassa l’età di accesso a Internet
Stanno aumentando, rileva l’avvocata, casi e quindi sentenze che coinvolgono genitori e figli riguardo alla vita online dei ragazzi. «Aumentano le pronunce perché si abbassa l’età a cui i bambini accedono a Internet: più sono piccoli, più è difficile per loro padroneggiare il mezzo. Il problema è che i genitori continuano a lasciar usare smartphone e tablet ai figli senza controllo, oppure lasciano che i figli usino il loro stesso cellulare con i profili pubblici, o che abbiano loro stessi profili pubblici. La giurisprudenza non sta dicendo che dobbiamo fare gli sceriffi ma che, se abbiamo uno strumento, dobbiamo saperlo usare e di conseguenza saperne insegnare l’utilizzo ai figli. Insomma, poiché fino a oggi tutte le misure non sono state sufficienti ad arginare il fenomeno, ora arriva la legge, non solo in Italia ma in tutto il mondo».
Come verificare l’età di accesso dei figli ai siti porno
Tutte le piattaforme stanno cercando di alzare l’età d’accesso ai social. «In Virginia» racconta la dottoressa Marraffino «è stata addirittura approvata una legge che limita a un’ora il tempo in cui i minori possono stare online. Ma il vero problema non è tanto il limite orario, quanto la soglia anagrafica. L’Agcom qualche settimana fa ha dettato linee guida sull’accesso ai siti pornografici attraverso la verifica dell’età. Già, ma come verificarla se basta dare un OK? Si dibatte sull’uso della carta d’identità e sul rischio che i dati vengano sottratti, ma è un falso problema: basta che a verificare l’identità sia un ente terzo attraverso un programma che impedisca la condivisione dei dati con la piattaforma. E questo programma c’è già».
Chi controlla l’età dei ragazzi nel creare account social?
Il Regolamento europeo prevede che i ragazzi possano accedere ai social da 13 a 14 anni. «In Italia abbiamo recepito con un decreto l’età dei 14 anni (perché per la legge coincide con l’imputabilità e la capacità di autodeterminarsi) ma a tutt’oggi non c’è alcun controllo né sull’età dei ragazzi, né sul consenso dei genitori nel caso in cui il giovane acceda prima. Il Regolamento infatti prevede che, con il consenso dei genitori, il figlio possa anche aver accesso ai social prima dei 14 anni. Ma chi controlla se questo consenso esiste davvero?».
Aumentano i procedimenti sui baby influencer
La consensualità dei genitori entra in campo a gamba tesa quando i figli non usano semplicemente i social ma, sulla spinta dei genitori stessi, lo trasformano in un lavoro, di cui sono mamma e papà a godere i frutti. «Stiamo cominciando a vedere ora le conseguenze del fenomeno dei baby influencer, con l’aumento dei procedimenti in cui i genitori vengono chiamati in causa per sfruttamento dei minori e bambini con gravi traumi: per esempio, minori incapaci di vivere nella loro cameretta, perché associata a un luogo di lavoro» prosegue l’avvocata Marraffino.
In aumento l’adescamento dei minori online
La verità è che negli ultimi 20 anni tutti noi adulti abbiamo lasciato i nostri figli soli davanti a Internet : «Oggi non possiamo più dire che si tratti di nuove tecnologie: stiamo di fatto raccogliendo i frutti del nostro disinteresse e della nostra incapacità di proteggere i bambini. Tant’è che, di fronte all’assenza dei genitori, arriva la legge». Ci sono infatti varie proposte di legge per regolamentare l’accesso ai social e il fenomeno, appunto, dei baby influencer: «Ci si augura che la legge arrivi entro l’estate e che in questo modo i genitori siano responsabilizzati. L’accesso a Internet sta diventando sempre più precoce: i bambini hanno lo smartphone già alle elementari, grazie a genitori che non sono in grado di opporsi. Per questo stanno aumentando i fenomeni di adescamento, così come aumentano i casi di dipendenza dalla rete, che viene trattata dai giudici come una dipendenza da stupefacenti: bambini che vengono sottratti ai genitori e ricoverati, e poi disintossicati. Bambini con disturbi dell’alimentazione e d’ansia, a otto anni, precocemente “adultizzati”, spinti cioè all’inseguimento della perfezione e della performance».