genitori che urlano ai figli

Urlare ai figli è come una violenza sessuale

Urlare e insultare i figli li espone a rischi di psicosi e disturbi d’ansia. A sostenerlo è uno studio, che ha analizzato 166 ricerche precedenti. Ma cosa dire (e come parlare) ai figli per rimproverarli senza essere violenti?

Urlare ai figli e insultarli possono portare a conseguenze anche potenzialmente gravi nei bambini, con segni che possono rimanere perfino in età adulta. Vere cicatrici, come segni paragonabili a quelli di una violenza o un abuso fisico o sessuale. A dirlo sono i risultati di uno studio, condotto negli Stati Uniti.

Urlare ai figli può causare disturbi psicologici

«Urla, denigrazione e minacce verbali possono essere altrettanto dannosi per lo sviluppo di un bambino quanto altri maltrattamenti attualmente riconosciuti e stabiliti dalla medicina legale, come l’abuso fisico e sessuale infantile», hanno spiegato i ricercatori americani. Come riportato dalla rivista Child Abuse & Neglect, dunque, gli effetti di un comportamento aggressivo da parte dei genitori, anche solo verbale, possono persino condurre ad autolesionismo, consumo di sostanze stupefacenti e carcere. «Spesso gli adulti non sono consapevoli di come il loro tono di voce e le parole critiche, come ‘stupido’ e ‘pigro’, possano avere un impatto negativo sui bambini», ha chiarito la professoressa Shanta R Dube, esperta americana di abusi sui minori e coautrice dello studio, frutto dell’analisi di 166 precedenti ricerche.

Ancora troppa violenza verbale sui bambini

A commissionare il lavoro, condotto da esperti della Wingate University in North Carolina e della University College London, è stato l’ente caritatevole inglese Words Matter, che si impegna contro gli abusi verbali. Proprio nel Regno Unito un recente sondaggio ha indicato che il 41% dei giovani tra gli 11 e i 17 anni riceve parole offensive, insulti e critiche dagli adulti, tra genitori, insegnanti, tutori o amici di famiglia. Nel 51% dei casi le aggressioni verbali sono settimanali, mentre nel 10% sono addirittura quotidiane. E in Italia? «In Italia non esistono studi analoghi a quelli britannici, ma la sensazione e l’esperienza ci dicono che il contesto è analogo», conferma Davide Nahum, psicologo e psicoterapeuta del Centro Ieled di psicologia dell’età evolutiva.

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Urlare ai figli non è un problema (solo) culturale

Il ricorso alle urla con i figli potrebbe far pensare a un retaggio culturale, che nelle famiglie di oggi non ci si aspetterebbe. In realtà per l’esperto questo atteggiamento affonda le radici nell’ambiguità del concetto di educazione, per cui «si pensa che denigrare il figlio e colpirlo con le parole sia una strategia educativa valida, buona per ottenere risultati. Molti genitori credono che sottolineando la sua inadeguatezza si possa cambiarne l’atteggiamento, ritenuto sbagliato o inadeguato – spiega Nahum – Per esempio, se un ragazzino prende un’insufficienza a scuola, può capitare che gli venga dato dello “stupido”, o “pigro”, o che gli venga detto che non ha voglia di fare nulla, pensando di ottenere una reazione. Spesso, invece, accade il contrario, perché di fatto si attacca il bambino nella sua emotività».

Che differenza c’è tra urlare e rimproverare

«Va fatta una distinzione. Un conto è l’urlo una tantum, magari alla fine di una giornata stancante o quando si è sotto pressione. Ma in questo caso spesso il genitore si rende conto da solo di aver ecceduto e lo ammette. Diverso è l’abuso verbale come strategia educativa – spiega lo psicoterapeuta dell’età evolutiva – Quando si rimprovera (e non è sbagliato di per sé farlo) bisogna ricordare la differenza tra il comportamento del figlio e il suo essere, tra ciò che fa e ciò che è. Occorre, quindi, agire sui comportamenti. Per fare un esempio, non bisognerebbe dire “sei uno stupido”, ma “ti sei comportato da stupido”. Se il figlio o la figlia non ha riordinato la cameretta, non è bene dargli del “pigro”, ma ricordagli che non ha avuto voglia di sistemare, nonostante i suoi doveri. Lo stesso vale anche per le lodi: meglio evitare di dire “sei intelligente”, quanto piuttosto “hai fatto bene”. Questo perché il comportamento lo si può cambiare, ciò che si è no», spiega Davide Nahum.

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Urlare ai figli causa disagi psicologici

«Sappiamo letteralmente da centinaia di studi che l’esposizione all’abuso verbale colpisce profondamente i bambini ed è associata a persistente disagio psicologico, complesse difficoltà emotive e relazionali, disturbi fisici e mentali, maggiore probabilità di ricreare situazioni di abuso nella propria vita, come per esempio trovare un partner che abusa, oppure ritrovarsi a ripetere l’abuso con altri», ha spiegato Peter Fonagy, coautore dello studio, responsabile della Divisione di Psicologia e scienze del linguaggio presso l’University College di Londra (UCL).

Effetti anche a lungo termine

Attenzione anche alle conseguenze a lungo termine. Secondo Fonagy «l’uso delle parole per intimidire, far vergognare e controllare può sembrare meno dannoso di una minaccia fisica, invece comporta gli stessi rischi: bassa autostima, aumento dell’uso di nicotina, alcol e sostanze, aumento del rischio di ansia, depressione e persino disturbi psicotici». Aggiunge l’esperto italiano: «È assolutamente in linea con ciò che vediamo anche noi. I nostri figli si fanno un’idea del mondo e di loro stessi tramite il genitore: se questo li svaluta continuamente, si convince di non essere adeguato e questa idea si radica nella mente. La bassa autostima può portare i ragazzi a rivolgersi a quella parte della società più problematica, come la criminalità o il mondo degli abusi, ma è anche alla base di minori risultati nel lavoro una volta adulti. È una condizione difficile da sradicare», aggiunge l’esperto.

I consigli dell’esperto

Ma allora quali sono le alternative e le strategie migliori? «Ce ne sono due che sono semplici da mettere in atto. Intanto, come anticipato, focalizzarsi sui comportamenti e non sulla persona in sé, sia nella lode che nel rimprovero. Poi può essere utile, anche quando si plaude a un comportamento positivo, non aggiungere mai dopo il “ma”: per esempio, di fronte a un buon voto a scuola, sarebbe da evitare una frase tipo “è un bel risultato, ma la prossima volta potresti fare di più”, perché di fatto toglie rilievo all’elemento positivo e annulla l’effetto di incoraggiamento e supporto», conclude Davide Nahum.

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