Torino stupro di gruppo

Stupro di gruppo a Torino, la ragazza denuncia: «Urlavo e nessuno mi ha aiutata»

Una giovane di 20 anni denuncia lo stupro da parte del gruppo di amici. Aveva perso i sensi dopo aver bevuto ed essere stata drogata: uno scenario simile a quello di Palermo. Perché è così difficile trovare scintille di umanità? Fino a che punto questi ragazzi sono consapevoli di ciò che fanno?

Un altro stupro di gruppo denunciata da una giovane. Stavolta accade a Torino dove tra il 9 e il 10 ottobre scorsi una ragazza sarebbe stata violentata da sei giovani, tre dei quali già arrestati, come riporta La Repubblica

Lo stupro di gruppo a Torino

La vicenda ha contorni che già conosciamo e ricorda lo stupro di Palermo: «Ho perso i sensi sul divano. Mi avevano dato birre e superalcolici, penso per farmi ubriacare e una pastiglia di ecstasy. Mi sono risvegliata nuda con loro sopra. Urlavo di lasciarmi stare, di smetterla. Nessuno in quella casa mi ha aiutata. Loro si sono poi fermati e sono andati di là a dormire», ha detto la giovane ai poliziotti che l’hanno soccorsa.

Tutto comincia quando la ragazza raggiunge un amico in un parco. Lì ci sono con lui altri amici che lei conosce da molto tempo. Il gruppo si sposta a casa di uno di loro. «Io ero confusa, avevo bevuto e preso quelle cose. Non capivo bene. Mi hanno accompagnata in quella casa. Mi hanno dato ancora da bere e ho perso i sensi», ha raccontato lei. Nella storia c’è un testimone che vede uno o più giovani violentare la ragazza mentre lei è priva di sensi. Poi la ventenne si sveglia e grida. «Mi sono svegliata all’improvviso con delle forti fitte al basso ventre. Erano sopra di me. Ho capito allora cosa mi stesse accadendo. Ho chiesto aiuto urlando a squarciagola. I due che erano sopra di me si sono placati. Il terzo mi ha portata giù e mi ha abbandonata per la strada quando ero sotto choc. Si è giustificato con queste parole, mi ha detto: “Ho visto gli altri che lo facevano tutto il tempo. Ho pensato di poterlo fare anche io”. Poi è fuggito».

Alla base dello stupro: il corpo è un oggetto tra gli oggetti

Perché è così difficile oggi trovare scintile di umanità? Perché questi ragazzi violano il corpo di una coetanea e non sono capaci di capire la portata del gesto che stanno compiendo? E perché il gruppo è più forte del singolo? Prova a risponderci lo psicoterapeuta e sessuologo Marco Inghilleri, direttore del Centro di Psicologia giuridica, Sessuologia clinica e Psicoterapia di Padova . «Il corpo umano nell’era post capitalistica – la nostra – è diventato un oggetto tra gli oggetti, merce in vendita come qualunque altro bene di consumo. Questo processo di desacralizzazione lo ha trasformato in uno strumento di performance, influenzando così la rappresentazione della sessualità degli adulti, ma soprattutto dei più giovani, per i quali il sesso diventa un mero atto ginnico che non prevede il riconoscimento dell’altro. Anche perché nell’epoca del narcisismo sono importanti solo i bisogni individuali e il loro soddisfacimento».

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Perché il gruppo è più forte del singolo

Come dimostrano gli esperimenti di psicologia sociale, è più facile conformarsi agli altri, al contesto del momento, piuttosto che scegliere di non starci. «Ribellarsi agli “ordini” del branco richiede un’assunzione di responsabilità individuale che oggi i giovani non sono in grado di prendersi» prosegue il dottor Inghilleri. «È lì che sta l’umanità, nella scelta di non adeguarsi a un comportamento che ritieni sbagliato». Quindi questi ragazzi sanno che stanno commettendo un reato? «Non è detto perché sono immersi profondamente in una cultura in cui conta solo il consumo, una cultura dove tutti siamo in vendita, come nel menu del Mac Donald’s. Tant’è che a proliferare sono le app di incontri, dove ci si sceglie in base alla foto e a dei claim di se stessi, come nelle pubblicità: un catalogo di corpi vuoti insomma, dove l’anima non c’è più» dice il sessuologo. «I nostri ragazzi soffrono una solitudine terrificante, silenziosa e spaventosa come l’universo, un vuoto educativo di cui è responsabile la scuola e fino a un certo punto la famiglia, stretta com’è tra le urgenze economiche di far fronte alla quotidianità».

Manca l’educazione alla responsabilità

Ma non dobbiamo fare l’errore di cercare il capro espiatorio ogni volta che accadono episodi del genere: questa è la scorciatoia più semplice. Loro vanno punti ma la colpa non è solo la loro. E non è solo la scuola – che dovrebbe abituare a pensare e non a consumare – , o la famiglia, o il contesto. È la società intera che deve interrogarsi e ricreare quella comunità ormai sparita, cioè la vicinanza dei rapporti e soprattutto i punti di riferimento, che non ci sono più. Gli adulti dovrebbero fare un profondo esame di coscienza – sostiene Inghilleri –, complici indiretti di una realtà dove è carente l’educazione alla responsabilità di ciò che si sceglie e si fa, e dove la scuola dovrebbe insegnare e abituare a pensare.

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Le radici dello stupro sono nella mancata evoluzione dei maschi

In questo contesto di disumanizzazione, i maschi pagano un tributo alto, che fanno scontare attraverso la violenza alle coetanee, amiche, partner, mogli. «La nostra società ha molto investito sull’emancipazione femminile, riconoscendo alle donne il posto che spetta loro nella società» spiega Inghilleri. «Sulla componente maschile è tuttavia mancato un lavoro parallelo che avrebbe dovuto insegnare agli uomini a ripensarsi in un contesto sociale mutato, dove l’antico privilegio del maschio è venuto meno senza essere sostituito da un riconoscimento altrettanto forte». Il maschile insomma non si è “riposizionato” rispetto al femminile. E così bambine, ragazze, donne, agli occhi delle loro controparti maschili si trasformano in nemiche da domare, anche con la violenza sessuale, che non a caso viene utilizzata come arma in guerra: nient’altro che il tentativo di ristabilire il proprio predominio.

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La vera parità non sta nell’uguaglianza ma nell’equipollenza

Questo conflitto tra donne e uomo rischia di essere eterno se non si lavora tutti insieme a una società più paritaria, ma attenzione: «Occorre sostituire al concetto di uguaglianza quello di equipollenza, che porta alla vera parità» conclude lo psicoterapeuta. «L’equipollenza è basata sulla diversità, cioè non tende a eliminare le differenze ma a rispettarle, senza porre le persone su piani diversi, con più o meno valore. È proprio nella complementarietà delle differenze tra uomo e donna che può rinascere la nostra società». 

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