Ageismo

Dietro quella paura di invecchiare

L'ageismo, ovvero lo stigma dell'età, colpisce gli anziani (maschi e femmine) e non risparmia i giovani in base alla generazione di appartenenza. Ma le più colpite sono le donne, che subiscono il doppio degli stereotipi. Vediamo come

Prendi la popolazione mondiale, dividila a metà, conta quante donne sono over 50. Ora hai un paio di certezze: tutte hanno le rughe e sono in menopausa. Dovrebbero essere due fatti normali, fisiologici, naturali, invece i segni sul viso e la fine del ciclo mestruale non solo ci colgono quasi sempre impreparate ma vanno a braccetto con una nuova epidemia sociale che persino l’Oms si raccomanda di prevenire. È lo stigma dell’età, oggi detto ageismo.

Che cos’è l’ageismo

Una discriminazione che colpisce gli anziani (maschi e femmine) e non risparmia i giovani, una forma di intolleranza e di pregiudizio che divide le persone in base al target di appartenenza. Così gli over 50-60 sono esclusi perché considerati troppo vecchi e i teenager ignorati perché ritenuti troppo immaturi per essere presi sul serio. E le donne? Inutile dirlo: subiscono il doppio degli stereotipi. A cominciare da quelli che loro stesse hanno interiorizzato sull’aspetto fisico, sulla bellezza che sfiorisce, sulle rughe da combattere, come se il viso fosse un campo di battaglia da spianare e non raccontasse, invece, la storia unica di tutte noi. Per dirla alla Anna Magnani, quei segni li abbiamo pagati cari. Invece oggi è corsa a levarseli per paura di diventare invisibili.

Ageismo e anti-aging

Qualche dato dà la misura di questo conflitto aperto tra noi e le frontali, le zampe di gallina, le codice a barre sopra il labbro: nel 2022 la spesa in Italia per creme anti-age è stata di oltre 650 milioni di euro, dice l’associazione Cosmetica Italia. Con una nota interessante: le 40enni spendono tanto quanto le over 60. Non è un segnale negativo, anzi. Secondo Giulia Penazzi, cosmetologa e autrice del saggio Invecchiare non è una colpa (Edizioni Lswr), una buona genetica aiuta, «ma è la cura che abbiamo di noi stesse nel tempo a fare la differenza. Negli anni ’80 il marketing aveva inventato il termine anti-aging per creare un senso di necessità tra le donne mature che non si curavano, con toni quasi militareschi come “combattere le rughe”, “lottare contro i segni dell’età”. Finendo per far identificare la bellezza con la giovinezza. Oggi c’è una comunicazione più morbida che invita ad accompagnare la pelle nel tempo per mantenerla sana e radiosa, come anticip’aging e slow aging: slogan che puntano su un concetto positivo di longevità e di prevenzione».

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L’ageismo a Hollywood

L’approccio soft del marketing non è causale: archiviati i tempi della chirurgia plastica hard, dei visi sfigurati dai lifting e da dosi massicce di botox (vedi il cortocircuito di Madonna discriminata dai fan pro- prio perché super ritoccata), oggi l’immagine vincente è quella di celeb over che invecchiano con eleganza come Meryl Streep. Che si presentano sui red carpet con la loro storia scritta sul viso come Sarah Jessica Parker e si instagrammano nature come Gwyneth Paltrow.

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Nascono filoni letterari e guru 70enni, dall’attivista americana Ashton Applewhite, autrice di Il bello dell’età. Manifesto contro l’ageismo, alla scrittrice Lidia Ravera con i suoi romanzi che hanno per protagonisti i grandi adulti. Si allarga il fronte di quelle che non ci stanno a essere definite in base alla data di nascita, a essere inquadrate come belle signore che si portano bene gli anni o nonnine buffe ma asessuate.

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Il conflitto tra femminile e rughe

L’age power bussa dunque alla porta delle nuove rivendicazioni di genere, ma la strada appare ancora lunga perché il conflitto tra femminile e rughe non è solo superficiale: a livello più profondo è il segnale di una grande svolta a cui bisogna imparare ad adattarsi. Come spiega la psicologa clinica Serena Indirli: «La pelle è l’organo più esteso del corpo umano, è il confine fisico tra interno ed esterno, tra il nostro sé e il mondo, e contribuisce al senso di identità e di autostima, alla percezione della propria attrattività, oltre a metterci in connessione con gli altri. Fatta questa premessa, nel momento in cui viviamo in una società permeata dal mito della giovinezza che ci illude di poter fare tutto, la ruga simboleggia l’impotenza rispetto al passare del tempo, come se l’età matura fosse meno degna di essere vissuta». Invece, spiega l’esperta specializzata in Psicologia della terza età, tutti i passaggi da un ciclo a un altro sono determinati da un cambiamento che va accolto positivamente.

Menopausa: la fine di un ciclo, l’inizio di un altro

«Tra i 7 pilastri della Mindfulness, che io pratico, c’è un atteggiamento che dice di affrontare la vita con la mente del principiante: significa andare a esplorare con curiosità ogni nuova fase dell’esistenza. Perché concentrarsi solo sulle rughe? La sfida evolutiva in menopausa è continuare a essere generative anche dopo i 50 anni: si perde la capacità riproduttiva, ma il nostro femminile non si riduce a fare figli o avere la pelle liscia. La fine di un ciclo può essere il trampolino di lancio di un altro. E bisognerebbe arrivare preparate, perché la vita è fatta di dolore, cambiamento, menopausa, rughe, felicità e bellezza. E questa non sta solo in un aspetto esteriore, ma in un aspetto vero».

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Gli sterotipi della menopausa

Il tema rughe preoccupa le donne «ma forse non è poi così centrale» afferma Silvia Galeazzi, giornalista, fitness coach, founder del progetto di salute al femminile Ultra Forty e autrice del podcast Vietato invecchiare. «A livello generazionale, le donne tra i 40 e i 50 mangiano meglio di quando uscivano tutte le sere a fare gli aperitivi, usano i prodotti per la pelle giusti, si prendono cura di se stesse. Hanno detto addio al modello delle rifattone e non vivono come drammatico il tempo che passa: è la società, piuttosto, a non essere pronta all’invecchiamento femminile. A non parlare apertamente di menopausa, che non è certo una malattia ma si porta dietro tantissimi sintomi diversi e può presentarsi ben prima dei 50». Già dopo i 40, dice Silvia Galeazzi, bisognerebbe pretendere cure, medici, allenatori e anche uffici del personale preparati a gestire i nostri cambiamenti ormonali. «Ma in modo laico, senza pregiudizi e tabù, perché in Italia sopravvive lo stereotipo della donna con le vampate, un po’ isterica o depressa, nel pieno della sua crisi di midlife. E invece è ora di essere più informate e consapevoli e di ripensare adesso a quello che saremo nell’altra metà della vita». Ruga più, ruga meno.

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