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I giochi di tutti: i Mondiali organizzati da Special Olympics a Berlino

Lo scorso giugno a Berlino si sono tenuti i campionati mondiali organizzati da Special Olympics, giochi sportivi dedicati alla disabilità intellettiva. Sono un'esperienza unica per le opportunità che offrono e il clima bellissimo che si crea

Berlino città aperta, che accoglie e guarda avanti, s’è presa già una volta l’onere di mostrare al mondo come s’abbattono i muri eretti da ideologie e oscurantismi. A trent’anni di distanza, lo scorso giugno, con lo stesso slancio, per 9 intensissimi giorni, ha sfidato di nuovo pregiudizi e chiusure e messo al bando ogni barriera legata alla disabilità, promuovendo lo sport non competitivo e accessibile a tutti, come veicolo di solidarietà attiva, strumento di benessere e condivisione. Una sfida virtuosa che la città ha accettato ospitando l’edizione estiva del Mondiale di Special Olympics, i giochi sportivi dedicati alla disabilità intellettiva.

Dal 17 al 25 giugno, un popolo festoso e organizzato ha colorato Berlino, sperimentando dal vivo un modello di solidarietà e inclusione che permette ad atleti di ogni età, genere, etnia e provenienza di gareggiare in 26 diverse discipline sportive, schierati spesso in squadre unificate, in cui cioè sportivi con e senza disabilità si allenano e giocano insieme, secondo criteri che consentano a tutti di raggiungere gli stessi obiettivi.

La storia di Special Olympics

È una rivoluzione contagiosa, quella di Special Olympics, una storia da film: in fondo, l’ennesima deriva visionaria del sogno di libertà e uguaglianza germogliato nella Camelot kennediana. È stata infatti Eunice Kennedy Shriver, sorella di John Fitzgerald e di Bob, a fondare il movimento nel 1968, mossa dall’urgenza di restituire visibilità e riscatto alla meno nota tra i nove fratelli Kennedy: Rosemary, portatrice di una disabilità tenuta a lungo segreta in famiglia. Garantire a Rosemary una vita piena e scardinare pregiudizi e imbarazzi è stata per Eunice una ragione di vita. Negli anni ha mobilitato medici, scienziati dello, sport, educatori e sportivi, per mostrare al mondo che le persone con disabilità intellettive hanno ambizioni, sanno divertirsi e rispettare le regole e, come gli altri, hanno diritto a prendersi cura del proprio benessere fisico e mentale.

Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando, nel 1962, Eunice radunava centinaia di ragazzini nel prato e nella piscina di casa, impegnandoli in gare, allenamenti e giochi. Grazie alla sua determinazione, ora SO è un’organizzazione internazionale: i suoi programmi, che mirano a spostare l’attenzione su ciò che gli atleti possono fare, e non su ciò che è loro precluso, coinvolgono più di 5 milioni di sportivi e oltre un milione di volontari, che collaborano attivamente alla realizzazione di più di 100mila eventi nel mondo.

I protagonisti del Mondiale

Tra i volontari, anche ai Giochi di Berlino, erano parecchi i dipendenti di Coca-Cola, socio fondatore e sponsor globale di SO. «Significa che siamo con loro dal primo giorno da oltre 50 anni», precisa, con orgoglio Tim Dignard, Senior Manager Global Sponsorship di Coca-Cola. «Non è la classica sponsorizzazione: questa partnership per noi vuol dire costruire il progetto insieme, significa, oltre all’importante lavoro di sensibilizzazione sul tema dell’inclusione, operare dietro le quinte, stare dalla parte degli atleti per comprendere i loro bisogni, in gara e nella vita di ogni giorno».

Ed è proprio sul territorio che l’esperienza cinquantennale di SO mostra la sua portata rivoluzionaria: «La cosa che mi ha colpito, quando ho cominciato a conoscere i percorsi di questi ragazzi è l’impatto che l’incontro con SO produce nella vita quotidiana», spiega Cristina Camilli, Direttrice Relazioni Istituzionali, Comunicazione e Sostenibilità di Coca-Cola Italia, che ha promosso la partecipazione ai Giochi degli atleti azzurri con la campagna “Adotta un campione”.

I benefici per i campioni

«A partire dal tema della salute» precisa alludendo a Healthy Athletes, uno dei programmi più dirompenti messi in campo dall’organizzazione, che offre screening sanitari agli atleti, promuove scelte di vita sane e identifica eventuali patologie che potrebbero richiedere ulteriori cure, grazie a team medici e specialistici che provvedono a prescrivere e procurare test diagnostici, occhiali, apparecchi acustici, scarpe sportive della giusta misura, regimi dietetici accurati. «Spesso, anche tra i medici di base, non c’è la preparazione adeguata per prendersi cura di questo tipo di pazienti, è un servizio che va oltre il tema sportivo e incide moltissimo sulla realtà delle famiglie: insieme all’attività sportiva, spezza l’isolamento che molte subiscono. Per non parlare delle trasformazioni fisiche, sociali e psichiche di cui beneficiano i ragazzi che frequentano centri di SO».

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«Memorizzare e percorrere ogni giorno un itinerario, verso una palestra o una piscina, fare attività e incontrare persone, trovare motivazioni e gratificazioni: che straordinario traguardo può essere questo per un ragazzino autistico o una persona con la sindrome di Down» osserva Alessandra Palazzotti, Direttrice Nazionale di SO Italia, quotidianamente impegnata col suo staff a «portare lo sport sotto casa, creando le condizioni per avviare nuovi centri negli oratori, nelle piscine da riqualificare, nelle palestre delle scuole.

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Vedere per credere

«In questi centri, ciascuno finalmente è messo nelle condizioni di dare il meglio di sé, a prescindere dall’abilità che ha. Tutti possono mirare alla medaglia d’oro e conquistarsela. È accaduto a molti italiani qui a Berlino» racconta. «Portare poi quegli atleti, con le loro medaglie, in giro per le scuole, sentirli raccontare le loro imprese ad altri studenti è la più straordinaria leva di inclusione, un potente antidoto alla diffidenza. Ed è in quelle occasioni che spesso reclutiamo, tra allievi e docenti, gli atleti che gareggiano nelle squadre unificate: se conosci SO non lo lasci più».

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Un mantra che l’inglese Ian Harper, Global Athlete Leader, insignito del ruolo di Global Messenger, un medagliere impressionante alle spalle, non cessa di ripetere: «Lo consiglio sempre ai ragazzi: se c’è una gara di SO nella vostra zona, andateci o fatevici portare, osservate ciò che fanno gli atleti, la loro esultanza, il tifo del pubblico, fate tante domande: potrebbe essere il primo passo. Il secondo sta ai genitori o ai parenti: contattate i programmi locali, spiegate la vostra situazione. Quando finalmente si mette piede in una piscina o in un campo di atletica, non si torna più indietro: le opportunità di crescita sono infinite».

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Il tifo: un’esperienza unica

Quanto al tifo, Ian ha ragione, è bastato mettere piede nei tanti terreni di gioco berlinesi per rendersene conto: è qualcosa di speciale, un’euforia collettiva che impedisce nel più autentico spirito sportivo di parteggiare per questa o quella squadra. Si tifa per tutti. Si partecipa alle imprese pazzesche degli atleti, all’affiatamento delle squadre unificate, al trasporto di coach, volontari, familiari: è un’esperienza che tocca, commuove, trasforma.

Certo, se a vincere sono gli italiani, come è successo ai quattro ragazzi della nazionale di bowling, l’entusiasmo va alle stelle. «Siamo sulla Luna» confermano Claudio e Paolo, papà, rispettivamente, di Michela e Silvia, le ragazze della squadra, poco più che trentenni. «È stato un viaggio, pazzesco, che ha cambiato anche noi» dicono. Meno enfaticamente, le campionesse ammettono di averci sempre sperato in quella vittoria, di avercela messa tutta. E mentre Silvia fa i complimenti ai coach: «Visto che strike? Mi hanno dato ottimi consigli», Michela progetta di portarsi per un po’ la medaglia al collo «per mostrarla ai ragazzi, del Centro diurno». Perché poi la vita continua, rammentano i papà sfiancati dall’emozione, «ora le ragazze hanno superato un gradino altissimo, che rende accessibili nuovi traguardi. Ma in fondo, Berlino o casa, per loro è sempre un Mondiale».

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Un movimento mondiale

Special Olympics è la più grande organizzazione sportiva mondiale dedicata alle persone con disabilità intellettive. Fondata nel 1968 da Eunice Kennedy, in oltre cinquant’anni è diventata un movimento internazionale, riconosciuto dal Comitato Olimpico Internazionale, che coinvolge oltre 5 milioni di atleti in 174 Paesi – alcuni dei quali dilaniati da guerre ed estrema povertà – più di 1 milione di volontari e quasi 630mila familiari. Oltre alle gare locali, ai programmi di allenamento, alle campagne sanitarie e di inclusione nelle scuole, ogni due anni Special Olympics organizza un Mondiale, alternando edizioni estive ed invernali. L’ultima, estiva, si è tenuta lo scorso giugno a Berlino e ha visto la partecipazione di 7mila atleti, membri di 190 delegazioni, impegnati in 26 discipline sportive, e oltre 20mila volontari. Il prossimo appuntamento è nel 2025: la città ospite sarà l’italiana Torino. Info: specialolympics.it.

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