Se è vero che la casa è lo specchio di chi la abita, quella di Teresa Saponangelo – protagonista di Sara – La donna nell’ombra – in cui carinamente mi accoglie un giovedì di sole e nuvole per la nostra chiacchierata, è l’espressione all’ennesima dell’eleganza sobria e del calore spontaneo e misurato che caratterizza un certo tipo di partenopeo, anche se d’adozione. Già entrando nel portone del bel palazzo antico nel centro di Roma – centro defilato – si respira un’aria di pace e di silenzio.

Un’oasi insperata nel caos della città, esasperato dal traffico per gli Internazionali di tennis e il via vai dei turisti mescolati ai reduci della partita di Coppa Italia e ai pellegrini. L’appartamento ha la grazia ancora intatta e non sciupata dei traslochi recenti. Su un mobile in soggiorno troneggiano, ma senza ostentazione, il David di Donatello vinto per il film di Paolo Sorrentino È stata la mano di Dio e un cofanetto con i Nastri d’Argento. Poco più in là, alcune foto di scena. Mentre in cucina mi aspetta un caffè.

Teresa Saponangelo è Sara, la donna nell’ombra

Teresa dal vivo, di rosso vestita, non ha niente di quella in 2D che ho lasciato in stand-by sul computer di casa. Tanto è affettuosa e morbida la prima, quanto è spigolosa e sciatta la seconda, protagonista di Sara. La donna nell’ombra, la nuova serie crime appena uscita su Netflix, ispirata alla saga di Maurizio De Giovanni. La storia è quella di una ex agente dei servizi segreti che in seguito alla morte del figlio esce dall’isolamento in cui si è autoreclusa per tornare a investigare, risvegliando vecchi fantasmi. Insomma, una donna lontana anni luce dalla Nives di Vincenzo Malinconico e dagli altri personaggi a cui l’attrice ci ha abituati al cinema e in tv.

L’intervista della nostra direttrice a Teresa Saponangelo

Teresa Saponangelo: chi è Sara protagonista de La donna nell’ombra

Chi è Sara?

«È una donna che ha chiuso con la vita, che si è ritirata dal mondo in seguito a una serie di lutti e brutte situazioni che l’hanno cambiata per sempre. In primis la morte del compagno, Massimo, capo della sua unità nei servizi segreti interni, per cui ha abbandonato il marito e il figlio. Una scelta che ha lasciato in lei una ferita profonda. In pratica vive una doppia perdita, che manifesta con una scarsa cura di sé: veste in modo trasandato, ha i capelli con la ricrescita, si comporta in modo ruvido, da lupo solitario, senza alcuna empatia».

Quanto ci è voluto per entrare nei panni di questa donna sofferente, ferita, tanto diversa da lei?

«Sicuramente è stata una grande sfida, essendo abituata a essere chiamata per ruoli solari, molto positivi, anche se quasi sempre attraversati da una qualche frattura. Sara, invece, è totalmente cupa, ha un solo colore. Non nascondo che non è stato facile vedermi esteticamente peggiorata, con i capelli bianchi, un trucco minimal, le rughe aggiunte o esasperate. Del resto, questo deve fare l’attore, entrare nel personaggio, mostrare anche ciò che non è bello. Per fortuna, tanti colleghi mi hanno detto che conciata così avevo un certo fascino e questo mi ha dato sicurezza. Ma credo che l’appeal nascesse soprattutto dall’interno. Sara diventa dura e diffidente perché ha fatto una scelta radicale e vive col peso del giudizio altrui».

Abbandonare la famiglia, un figlio piccolo, è una cosa difficile da capire.

«È sicuramente una scelta che io non avrei mai fatto, perché dolorosissima. Ma anche per Sara non è una passeggiata, attraverso i flashback si vede che torna sui suoi passi, che cerca di rivedere suo figlio in tanti momenti della vita. La sua ricerca di verità quando muore è un modo per farsi perdonare, riscattarsi. Per questo chiede aiuto a una vecchia collega, interpretata da Claudia Gerini. Essersi chiusa in una prigione di solitudine, in fondo, è il suo modo di espiare una scelta che ancora dalla società non viene accettata. Si sente rifiutata e per questo si isola. Mentre agli uomini viene perdonato tutto, anche l’abbandono, alle donne niente».

Teresa Saponangelo nella serie Sara – La donna nell’ombra

Teresa Saponangelo: come per Sara ne La donna nell’ombra essere una buona madre non è stato facile

Le è mai capitato di venire giudicata come madre?

«Tutte le donne vengono giudicate quando devono dividersi tra famiglia e lavoro, soprattutto se le tiene lontane da casa. A me è successo in un momento piuttosto difficile della vita, quando mi sono separata da mio marito (il regista David Emmer, ndr) e sono stata valutata da una psicologa sul mio modo di essere madre.

Essere attrice è stata un’aggravante, perché ancora da molti viene considerato un mestiere da persone esibizioniste e un po’ narcise, molto concentrate su di sé, che non hanno tempo per occuparsi dei figli».

E com’è stato realmente per suo figlio crescere in una famiglia di artisti?

«Da piccolo Luciano era molto affascinato da questo mondo. Poi, crescendo, ha iniziato a vivere il mio lavoro come una minaccia, ma più perché gli altri gli passavano il messaggio che il successo mi avrebbe allontanato da lui, mettendolo in secondo piano. E questa cosa si è sedimentata negli anni nella sua testa. Non è facile da estirpare, anche se ormai ha 18 anni e può giudicare da solo».

Ha mai fatto delle rinunce per non sentirsi una “cattiva madre”?

«Mai con questo pensiero. Ma ho detto di no, una volta, a una proposta interessante perché era un momento delicato, in cui si giocava una partita molto, molto importante. Sentivo che dovevo restare. E ho fatto bene. Non mi sono pentita. Per il resto, ho sempre cercato disperatamente di portare avanti il mio essere madre e attrice con un’organizzazione ferrea, per poter fare al meglio entrambe le cose e non sentirmi in difetto».

Ora che Luciano è grande, non è orgoglioso di lei?

«Lo è stato moltissimo con il film di Paolo Sorrentino, È stata la mano di Dio. L’ha visto in prima fila, vicino al regista, che è il suo mito. Non gli sembrava vero».

Teresa Saponangelo: da Sara – La donna nell’ombra ai David di Donatello

Quanto ha cambiato la sua carriera quel film e il David vinto come miglior attrice non protagonista?

«Parecchio. Se prima, fatto il provino e ricevuti i complimenti, c’era sempre da aspettare il parere della rete o della piattaforma, oggi nelle selezioni viaggio più spedita.

È come se quella parte e quel riconoscimento avessero dato conferma a tutto il lavoro che ho fatto e che so fare».

Filippo Scotti, Teresa Saponangelo e Toni Servillo in È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino

Spesso lavora con registi e produzioni napoletane. Il prossimo film sarà con Antonio Capuano, L’isola di Andrea, e non è il primo che fate insieme. Ma lei in realtà è pugliese.

«Sono nata a Taranto, ma da piccolissima, quando mio padre è morto, ci siamo trasferiti a Napoli, che è la città di mia madre. Lei era molto giovane ed è lì, dove aveva una rete, che ci ha cresciuti. Io avevo solo 2 anni, mio fratello 3 e mezzo».

E com’è andata?

«Bene, anche se mio padre mi è mancato molto e per mia madre non deve essere stato facile restare vedova a 23 anni. Ma la sua giovinezza ci ha permesso di vivere con grande libertà. A quell’età si è più incoscienti e coraggiosi, con meno ansie. Infatti stavamo tutto il giorno in strada, senza tante paure. Erano anche altri tempi».

Recitare è un talento (forse) di famiglia

Ha sempre saputo che voleva fare l’attrice?

«Sì. Probabilmente ha contribuito il fatto che all’interno del mio palazzo c’era un teatro, il Politeama, con cui condividevamo l’ingresso. Tutto quello che accadeva là dentro, dalle prove agli spettacoli, lo potevamo sbirciare dalle finestre. Ma più spesso entravamo in sala grazie ai biglietti regalati da una vicina che faceva la maschera. Per me è stato un modo per avvicinarmi a quel mondo. Solo molti anni dopo, ritrovando un book fotografico di mio padre in bianco e nero, ho scoperto che sognava di fare l’attore. Magari è un talento che mi ha passato».

Aveva pronto un piano B in caso di fallimento?

«Il fallimento non era contemplato. Mi sono laureata perché così voleva mia madre e poi ho seguito tutto il mio percorso nel teatro. Ma fino a qualche anno fa mia mamma ancora mi chiedeva se non fosse il caso di fare domanda per l’insegnamento. Ci ho messo un po’ a farle capire che quella di attrice era una strada consolidata».

Il lavoro di attore resta sempre un po’ precario.

«Ci sono momenti in cui lavori tantissimo e altri in cui nessuno ti chiama. Psicologicamente è molto stressante. Non nascondo che qualche volta mi è venuta la tentazione di fare la famosa domanda a scuola. Ma ho resistito. E poi, contrariamente a quello che pensa mio figlio, non sarei una brava insegnante. A meno che la materia non sia il teatro».

Giacca Brunello Cucinelli, gioielli Crivelli. Foto di Carlo Piro

Teresa Saponangelo: nel mio lavoro ci vuole prima di tutto la salute

Cosa ci vuole per sfondare nello spettacolo?

«Prima di tutto, come diceva Mariangela Melato, la salute. Perché affrontare lunghi periodi di riprese o di tour è molto faticoso. Poi, una buona memoria. A questo mi ci ha fatto pensare Barbora Bobulova. E in effetti, sembra paradossale, ma tanti colleghi non ce l’hanno. Può andare bene se fai cinema o tv, ma in teatro non la spunti».

Lei, in più, cosa ci mette?

«La preparazione. Non ho mai pensato di poter fare qualcosa improvvisando. E poi l’entusiasmo. Credo fortemente in quello che faccio, ci metto tutta me stessa, e questo gli altri lo notano, fa la differenza».

Cinema, tv o teatro?

«Sono esperienze molto diverse. Nelle serie mi diverto tantissimo. Con Massimiliano Gallo, per esempio, ho riso da morire fin dal primo giorno di Malinconico. Però il teatro è una palestra incredibile, c’è il contatto con il pubblico, ti metti totalmente in gioco. E forse non è un caso che io mi diverta di più con attori che vengono da quel mondo».

Nel teatro c’è più spazio per le attrici

Le donne dove hanno più chance di avere una lunga carriera?

«A teatro, perché ci sono parti scritte per tutte le età: le mamme, le nonne, le zie… E non bisogna fingere di avere meno anni di quelli che si hanno. Sul piccolo e grande schermo anche le nonne sono “tirate”. Maurizio De Giovanni mi ha fatto notare che sono una delle poche attrici che poteva fare Sara. Avendo la mia faccia, la posso trasformare come voglio, e di questo sono orgogliosa.

Un attore deve poter raccontare persone e fasi della vita diverse. Nel teatro si sente meno la questione estetica e l’ossessione per il tempo che passa».

I progetti d Teresa Saponangelo dopo Sara – La donna nell’ombra

Oltre al film con la regia di Antonio Capuano e a un altro insieme a Edoardo Leo, ha anche un progetto su Elvira Notari, la prima regista italiana.

«Purtroppo ancora troppo pochi la conoscono. Elvira Notari è una regista napoletana dei primi anni del ’900, che affrontava temi importanti come il femminicidio e che per questo è stata fortemente censurata durante gli anni del fascismo. Passava dal documentario alla finzione utilizzando sempre gli stessi attori, tra cui suo figlio Gennarino. Con il marito, che era direttore della fotografia e operatore, ha fondato una casa di produzione cinematografica, la Dora Film, portando i suoi film fino in America. Aveva uno sguardo molto innovativo, moderno, ed è stata una delle prime a colorare la pellicola in casa. Quest’anno cade il centocinquantenario della sua nascita. Per questo, per ricordarla, abbiamo realizzato un progetto composto dal documentario Transiti e dagli scatti della fotografa Cristina Vatielli».

Teresa Saponangelo: sogno di lavorare con Valeria Bruni Tedeschi

Le registe sono ancora mosche bianche, però l’ultimo David di Donatello ci fa ben sperare.

«È stato un bel segnale che abbiano vinto tre straordinarie autrici. E spero che si prosegua su questa strada. Nel teatro ancora il 70% dei registi è uomo. Nel mondo del cinema i ruoli decisionali sono ancora completamente in mano ai maschi, magari anche bravi, ma noi siamo davvero poco rappresentate. È una cosa che dobbiamo rivendicare».

C’è una regista con cui vorrebbe lavorare? «Valeria Bruni Tedeschi. È il mio sogno. Ma ci sono tante altre registe bravissime, come Valeria Golino. Credo che uno sguardo femminile sulle storie sia fondamentale. Non a caso, grazie a loro sta emergendo una nuova generazione di attrici straordinarie, che vengono ben guidate, hanno ruoli sfaccettati. Si sta creando anche un bel clima di solidarietà e di rete. Più si fa squadra, più si cresce».

Teresa Saponangelo: per lavorare bene ho bisogno di emozionarmi

Completo The Frankie Shop. Foto di Carlo Piro

A che punto della vita si trova? È felice?

«Sì. Sto molto bene in questa nuova casa. Mio figlio è sereno. Sto avendo belle soddisfazioni professionali. E c’è l’amore».

Ah, è accompagnata!

«Accompagnatella» (ride, ndr).

Quanto conta l’amore?

«Io sono sempre alla ricerca dell’amore. Le mie amiche mi prendono in giro perché mi dicono che mi innamoro continuamente. La verità è che ho bisogno di provare emozioni. L’aspetto sentimentale nutre il mio lavoro tantissimo. E penso di aver fatto bene certi ruoli perché ci ho messo dentro pensieri, gesti, ricordi delle mie storie passate, di tutto quello che ho provato veramente».

Dove si vede tra 10 anni?

«In una bella casa in campagna. A rilassarmi e a godermi il tempo che non sempre ho».

Ha una passione per le case.

«Sì, perché sono proprio l’espressione di quello che sei, di quello che impari. Il bello si apprende nel tempo e quindi avere un bel posto in cui stare implica una crescita, un percorso. Ecco, tra 10 anni mi vedo in una casa ancora più bella».