Malia Obama ha 26 anni e, dopo la laurea ad Harvard nel 2021, lavora come sceneggiatrice tv. Anche la figlia minore dell’ex Presidente americano Barack Obama, la 23enne Sasha, ha lasciato casa per studiare in California, ormai da un paio d’anni. E così la ex First Lady ha accusato il colpo della mancanza delle figlie. Insomma, Michelle Obama è in terapia perché soffre della sindrome da nido vuoto, che accomuna molte donne (ma anche padri).
Michelle Obama in terapia
«Ho 60 anni, ho concluso un periodo molto difficile, sono un’anziana senza famiglia, le mie ragazze sono state lanciate», ha dichiarato a cuore aperto Michelle Obama, aggiungendo: «Ogni scelta che sto facendo è completamente mia». Il riferimento è al fatto che da tempo è lontana dai riflettori, non partecipa neppure a eventi pubblici al fianco del marito, Barack, tanto che le voci su un loro imminente divorzio si sono moltiplicate col tempo e hanno costretto la ex First Lady a precisare anche di non essere in crisi né vicina alla separazione. Ma il punto ora è che lei, che si è sempre mostrata come una donna forte, ha ammesso di aver chiesto aiuto per superare la sindrome da nido vuoto.
Michelle Obama in terapia per la mancanza delle figlie
Se la presunta lontananza dal marito ha costretto Michelle Obama a chiarire che la sua assenza al suo fianco anche in occasioni come i funerali di Jimmy Carter o l’inaugurazione della presidenza Trump non hanno a che fare con problemi di coppia (quanto, piuttosto, con la ricerca di una propria identità e spazi nei quali essere solo se stessa, in una fase nuova della vita), ecco che riguardo alle figlie Michelle si è spinta oltre confessando: «In questa fase della mia vita, sono in terapia perché sto attraversando una fase di transizione, sapete? Ora non ho più la scusa del ‘i miei figli hanno bisogno di questo’ o ‘Mio marito ha bisogno di questo’ o ‘Il Paese ha bisogno di questo’».
Cos’è la sindrome del nido vuoto
Le parole di Michelle Obama, già avvocato molto affermato prima di diventare First Lady, sono state pronunciate dal The Jay Shetty Podcast ma sono rimbalzate in rete in poco tempo, forse perché moltissime donne ci si sono ritrovate. La sindrome del nido vuoto, infatti, risparmia ben poche madri e ha “sintomi chiari”: «Non è una propriamente una diagnosi clinica formale. Piuttosto è la descrizione di un insieme di reazioni emotive, come tristezza, senso di vuoto, solitudine o perdita di identità, che alcuni genitori sperimentano quando i figli lasciano la casa familiare per recarsi all’università, per lavoro o perché si sposano», chiarisce Adelia Lucattini, Psicoanalista della Società Psicoanalitica Italiana e dell’International Psychoanalytical Association, esperta di giovani e relazioni familiari.
Una “sindrome” molto diffusa
Stando ai dati si tratta comunque di una condizione particolarmente diffusa e in crescita con il passare del tempo, complice il diverso rapporto che i genitori hanno con i loro figli. «A soffrire della sindrome del nido vuoto o, in inglese, Empty Nest Syndrome (ENS) sono in particolare coloro che hanno investito gran parte della propria vita e hanno strutturato la propria identità avendo come perno il ruolo genitoriale», sottolinea Lucattini. Come conferma uno studio, pubblicato sulla rivista Nature, interessa quasi la metà dei genitori: «La ricerca ha rilevato che il 47% presentava una forma lieve di ENS, il 45% una forma moderata, ma solo il 4% una forma grave», spiega l’esperta.
I motivi per cui si soffre
Michelle Obama ha ammesso che il fattore età, nel suo caso, conta. Ma forse non solo per lei: «Un altro studio, pubblicato nel 2024 sull’International Journal of Creative Research Thoughts, mostra che l’età media dei genitori che riportano sintomi da ENS è intorno ai 50 anni. Va detto però che questo specifico tipo di disagio psicologico non dipende dall’età, ma dal grado di investimento affettivo fatto nel ruolo genitoriale, dall’avere o meno una vita personale gratificante, una vita professionale soddisfacente e una relazione sentimentale positiva».
L’età critica per le donne
«Non esiste, quindi, un’età rigida in cui si manifesta la sindrome del nido vuoto, anche se statisticamente è più frequente tra i 45 e i 65 anni, in particolare nelle donne perché è in questo range di età che si verifica spesso l’uscita da casa dei figli, adolescenti o giovani adulti. Inoltre, coincide con altri passaggi importanti come la menopausa, la pensione propria o del partner e soprattutto una maturità che permette di avere piena consapevolezza del tempo che passa. C’è chi sente il distacco dei figli già a 40 anni, magari dopo una maternità precoce, e chi lo affronta più tardi, in età avanzata, specie se ha avuto figli tra i 35 e i 45 anni», spiega Lucattini.
Colpisce soprattutto le donne
«Abitualmente la sindrome da nido vuoto è associata alle donne, per ragioni storiche e culturali. In molte famiglie, ancora oggi, le madri hanno un ruolo accudente e relazionale. Anche se lavorano, organizzano e gestiscono la vita quotidiana, si occupano dell’educazione e degli aspetti emotivi e psicologici dei loro figli, stanno molto più tempo a contatto con loro, li accompagnano a scuola e alle varie attività, li supportano e soprattutto sono molto in contatto, talvolta sempre a disposizione, il punto di riferimento dei figli e della famiglia tutta – sottolinea Lucattini – Non hanno tempo per se stesse, perdono di vista i propri bisogni e le necessità, sono protese e identificate totalmente con i bisogni e le necessità dei figli».
Qualcosa sta cambiando
«Negli ultimi anni, però, qualcosa sta cambiando nella struttura famigliare e nella mentalità dei padri che reclamano anche per se stessi un ruolo centrale nella vita dei figli, affettivo, non solo decisionale. David Beckham, icona di mascolinità, capacità e successo, che dichiara pubblicamente di essere molto partecipe e coinvolto nella vita dei figli, profondamente legato a loro, nel condividere la sua malinconia nel vedere i figli crescere e allontanarsi, mostra a tutti che gli uomini possono soffrire per i cambiamenti familiari e per la crescita dei figli, desiderata da un lato ma anche sofferta e che entrambi i genitori hanno necessità di autonomizzarsi e trovare nuovi equilibri interni»., sottolinea l’esperta.
A David Beckham mancano i suoi figli
E se Michelle Obama ha rivelato di essere in terapia, nei giorni scorsi ha tenuto banco la “disperazione” di David Beckham per la mancanza del figlio maggiore Brooklyn alla festa per i suoi 50 anni. I ben informati, infatti, raccontano che, nonostante il party nel ristorante londinese Core by Clare Smyth (presenti star come l’attore Tom Cruise, il regista Guy Ritchie e lo chef Gordon Ramsey, oltre alla moglie Victoria) l’ex calciatore fosse «sconvolto» e col «cuore spezzato». «David e Victoria Beckham hanno sperato disperatamente che (Brooklyn) cambiasse idea. È un colpo al cuore, fa male a tutta la famiglia, compresi i nonni e i fratelli».
Le differenze di genere possono ridursi
«Una ricerca, pubblicata nel Journal of Family Issues e che ha esplorato le differenze di genere nella sindrome del nido vuoto, ha evidenziato che i padri possono avvertire un senso di perdita e di isolamento, sebbene lo esprimano di meno rispetto alle madri, e questo li fa apparire meno coinvolti. I padri, ad esempio, hanno una maggiore difficoltà a trovare nuovi scopi o legami affettivi dopo l’uscita dei figli da casa», spiega la psicanalista, aprendo una riflessione sul diverso approccio tra uomini e donne a un fenomeno analogo.
Come si supera la mancanza dei figli
Nel caso di Beckham il “problema” è stato temporaneo e dovuto ad affari di cuore del figlio, che poi ha raggiunto la famiglia solo un paio di giorni dopo per festeggiare il padre. Ma come si supera la sindrome del nido vuoto, se persiste? «Dal punto di vista psicoanalitico, superare la mancanza dei figli non significa certamente “dimenticare” o esclusivamente “superare” la separazione: è piuttosto un processo di elaborazione del lutto e di riorganizzazione del proprio Io. I figli, che fino a quel momento hanno avuto un ruolo centrale nella vita del genitore, devono essere recuperati in modo diverso, più interiore», spiega Lucattini.
I figli non si perdono e la terapia può aiutare
Come spiega ancora l’esperta, «la separazione può essere vista come uno strumento per ritrovarsi ad un livello superiore, più adulto, migliore, più adatto all’età e ai ruoli di tutti. Il “vuoto” che i genitori sperimentano non è solo quello della casa, il nido insomma, ma anche di una parte di se stessi che ha bisogno di trasformarsi e crescere per andare avanti. Si resta genitori per tutta la vita, ma cambia il modo». In questo la psicoterapia analitica può essere di aiuto «in tutti i momenti di passaggio, di impasse e di profonda tristezza», conclude l’esperta, in qualche modo esortando a non avere timore di chiedere aiuto, quando serve, come ha fatto Michelle Obama.